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Al lavoro contro il terrorismo

Da circa quindici anni il mondo occidentale ha imparato a conoscere, non sempre in maniera proficua, il fenomeno religioso islamico in quasi tutte le sue declinazioni, alcune buone, altre molto meno. Risultano parte della nostra quotidianità gli appelli sgranati di imam furenti, le minacce di autoproclamati califfi, le stragi di gruppi paramilitari e i deplorevoli atti di terrorismo che segnano primariamente le zone colpite dall’affermazione dell’estremismo religioso – leggasi Siria, Iraq, Nigeria – e che sono arrivate anche nel cuore dell’Europa, a Parigi e Copenhagen. Ancora, abbiamo imparato a capire le differenze che caratterizzano il mondo dell’Islam al suo interno, quali sono le correnti, le varie confessioni, perfino accenni di teologia.

Nel quadro di questa nuova comprensione della religione di Maometto viene rarissimamente citato un caso del tutto particolare, che non si allinea né allo sciismo né al sunnismo, che non ha mai prodotto attentati o minacce, non ha mai attirato i riflettori su di sé: si tratta del sultanato dell’Oman, l’unico paese musulmano del mondo ad avere una popolazione di maggioranza ibadita. Che cosa significa?

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Una delle principali differenze che caratterizza le correnti dell’Islam è la scelta della guida della comunità religiosa: l’imam. Gli sciiti riservano questa possibilità ai soli discendenti dei 12 imam compagni del Profeta, i sunniti allargano la possibilità a tutti coloro i quali trovano nella tribù dei Quraish, quella dello stesso Maometto, la propria origine. Per gli ibaditi il ruolo di capo spirituale non è un attributo genetico, ma ogni musulmano, che sia sufficientemente preparato, può essere eletto imam. Vige, quindi, un principio pseudo democratico, che permette di lasciare addirittura la carica vacante, qualora nessuno venga ritenuto all’altezza, così come è possibile che l’imam venga sollevato dal proprio incarico se ritenuto non adatto. Allo stesso modo, gli ibaditi convivono pacificamente con gli altri musulmani – che, al contrario, non vedono di buon occhio gli appartenenti alle altre correnti e, nei casi di estremismo, vengono ritenuti infedeli da sterminare.

Questo spirito pacifico si è declinato dentro allo stato dell’Oman, un paese storicamente in seconda linea negli affari internazionali malgrado la posizione strategica che occupa, in un’area geografica che nel corso del XX secolo è diventata molto calda, sia per le risorse energetiche che vi si trovano, sia per le questioni che riguardano il fondamentalismo religioso.  Eppure, questo fratello piccolo delle storiche potenze del golfo, si sta silenziosamente costruendo solide basi fatte di stabilità politica e sociale, rendita petrolifera che viene reinvestita in modo da rendere la stessa il meno fondamentale possibile nell’ambito del sistema economico locale.  Negli anni delle primavere arabe anche il sultano, Qaaboos, ha avuto qualche dissidio interno da sanare, anche se l’entità e la portata delle proteste era radicalmente diversa, rispetto ai venti rivoluzionari che spiravano negli altri paesi della regione: a Mascate, la capitale del paese, in piazza i giovani reclamavano lavoro e formazione. Il governo del paese ha prontamente risposto, soprattutto in relazione alla domanda di istruzione, per poter permettere ai futuri protagonisti della vita del paese – che, certo, democratico non è – di poter continuare ad affrontare la sfida silenziosa che quotidianamente si presenta: essere un elemento di stabilità e sicurezza in una parte di mondo dove troppe correnti convergono. Molti paesi, USA e Arabia Saudita innanzitutto, hanno sostenuto economicamente il progetto di Qaaboos, proprio per poter continuare a fare affidamento sui cittadini omaniti.

Sultano Qaaboos

Questo estremo della penisola arabica rappresenta, quindi, un unicum all’interno del sistema mediorientale: è stato il primo paese ad avere una costituzione scritta, a concedere il voto alle donne, ha un sultano che, seppure regnante a colpi di decreto, vede al di là della siepe. Sia il fattore ibadismo una componente fondamentale in tutto ciò? Sicuramente la forte etica del lavoro che ne deriva – paragonabile, storicamente, al calvinismo cristiano – fa in modo che le preoccupazioni, il malcontento e gli sforzi che ne derivano, abbiano sempre una conclusione produttiva, che non permette alle dette problematiche di insinuarsi sotto la pelle della società, dove estremismo, fanatismo e terrorismo avrebbero fertile terreno su cui germogliare.

In copertina: Grande Moschea del Sultanato di Oman [ph. Richard Bartz CC BY-SA 3.0/Wikimedia Commons]

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Ivan Tomasoni

Studente di ritorno in marketing, osservatore felicemente timido, di poche parole e troppe virgole. Sono stato stregato dal planisfero in terza elementare. Ringrazio Alvaro Recoba per il genio, Audrey Tautou per la finezza e J Dilla per la sintesi. Amo le stazioni di servizio in autostrada, detesto il bianco-o-nero. Sono salito a bordo nel novembre 2014 e sono il discutibile responsabile della sezione di attualità, che cerco di coordinare nell’ottica del più ampio e capace respiro possibile.