Non solo tango – Il pescatore di “caramelle”
Daniel vive affittando libri. Tra il 1976 e il 1983 ha vissuto in Italia, al tempo della dittatura dei generali. Ha fatto molti mestieri ma quello di bibliotecario era probabilmente scritto nel suo destino.
«Nel 1975, quando ero attivista politico alla facoltà di Architettura e Urbanistica a Buenos Aires fui arrestato insieme a molti compagni. Mi portarono nel carcere di Azul, con un regime carcerario abbastanza aperto. Ricevevo libri e potevo perfino organizzare riunioni di lettura, nella mia cella. Dal 24 marzo del 1976, con il golpe cambiò tutto. Fummo trasferiti a Sierra Chica, un carcere molto più duro: l’ora d’aria solo due volte la settimana, otto compagni a turno. Potevamo parlarci solo a gruppi di due.
Fu necessario aguzzare l’ingegno per inventare modi per comunicare, continuare la lotta. Cominciammo a usare le “caramelle”. Si scriveva sulle cartine per sigarette, le si piegava e foderava con nylon e infine le si sigillava col calore. Assumevano la dimensione di una caramella. In caso di pericolo potevano essere ingoiate.
In cinque, tra cui Juan Martin Guevara, il fratello del Che, formavamo la direzione del padiglione. Ci riunivamo per coordinare il comportamento da tenere con le guardie, scambiarci notizie che apprendevamo grazie alle visite e analizzare i problemi dei compagni con cui ciascuno si incontrava.
Il responsabile scriveva quattro caramelle, le tirava fuori durante l’ora d’aria e le faceva arrivare alle nostre finestre. Le leggevamo, raccoglievamo opinioni e le rimandavamo al coordinatore con lo stesso sistema. Alla fine lui faceva una sintesi delle posizioni e ce la rimandava. Ogni riunione durava da 7 a 10 giorni.
La cosa più incredibile avvenne dopo la prima ora d’aria.
Il compagno della cella accanto mi disse: «Dove sei tu c’è la Biblioteca». Cosa, dove, quale? Mi spiegò: era una biblioteca di caramelle, attaccate tra loro in una collana, come vari volumi di ciascuna opera. Libri “proibiti” in piena dittatura proprio nel carcere duro del regime, in parte costruita prima del golpe con aiuti da fuori, forse in previsione di quello che si sapeva stare per succedere.
Si trovavano nella stessa porta della cella. Imparai ad usarla. Il compagno della cella accanto si occupava di spiare se qualcuno veniva nel corridoio. Intanto toglievo la copertura dello spioncino, prendevo un lungo filo di ferro con in cima un gancio di caucciù, lo introducevo dentro la porta che era cava, nello spazio tra le pareti di legno a cui si accedeva attraverso la serratura. Così pescavo i libri. Durante l’ora d’aria li passavo agli altri che in seguito me li restituivano.
Tra quelli che ricordo c’erano grandi opere come Stato e Rivoluzione di Lenin, Tradizione, famiglia e proprietà di Engels, Il manifesto del Partito Comunista di Marx, scritti del Che, di Ho Chi Min, Le vene aperte dell’America latina di Eduardo Galeano, un saggio sullo sfruttamento economico e umano subito dal Sudamerica negli ultimi cinquecento anni, documenti dei partiti, finiti fuorilegge.
Molte volte mi sono chiesto perché il caso abbia voluto che a quella cella rimasta vuota e a questa biblioteca che stava per chiudere per fallimento sia arrivato io».
argentina, buenos aires, featured, non solo tango, sud america, viaggio