EXPO: aspettative e prospettive di una grande opera italiana
A meno di due settimane dalla chiusura, Pequod torna a parlare di Expo 2015 per riflettere sulle problematiche che hanno segnato la sua storia e capire cosa resterà del grande evento quando si spegneranno i riflettori e i turisti andranno altrove.
Il punto (interrogativo) sui visitatori
La notizia è di questi giorni: Expo 2015 ha tagliato il «traguardo minimo obbligatorio» dei 20 milioni di visitatori. Pochi ci avrebbero scommesso all’inizio, quando le previsioni “expottimiste” sui 4-5 milioni di entrate nei primi mesi risultarono, nei fatti, più che dimezzate: l’amministratore delegato Giuseppe Sala aveva diffuso dati “gonfiati” e indifferenziati, includendo biglietti omaggio, volontari e addetti ai lavori. Così è partito il tormentone degli sconti sui biglietti, dai 10 € per gli universitari all’omaggio a persone con imponibile inferiore ai 10 mila euro annui, fino al recentissimo 2×1. Grazie a una campagna pubblicitaria pervasiva, Expo chiuderà con più di 100.000 visitatori al giorno, con il picco dei 259.093 del 26 settembre.
«Non che i numeri siano il fattore principale», dichiara soddisfatto Sala. Ma intanto pensa a un nuovo obiettivo: abbiamo fatto 20, facciamo 21 (milioni).
«Sicurezza» sul lavoro
Le polemiche sui contratti “pirata” giocati al ribasso avevano chiarito agli aspiranti lavoratori prima dell’inaugurazione che non sarebbe stata Expo 2015 a garantire la sicurezza di un impiego. Ma non ci si aspettava nemmeno che per «motivi di sicurezza» si potesse negare il pass o licenziare un neoassunto. Tra i 70 mila dipendenti ignari sottoposti a controlli di polizia, 680 sono stati segnalati dalla Questura di Milano per pendenze risolte o senza ragioni. Dopo i primi ricorsi, il vertice del 23 giugno tra sindacati ed Expo spa decide per la revisione dei profili “non idonei” e il possibile reintegro di 200 persone. Peccato che molte, ormai, avevano perso il lavoro.
Il vero problema è nel metodo per Antonio Lareno, delegato Cgil all’Expo, «quello per cui si possa andare a cercare nel passato di una persona per decidere se darle il diritto di lavorare oppure no».
Per chi il lavoro l’ha ottenuto, comunque, i disagi non sono mancati. Su Change.org è ancora aperta la petizione per chiedere più tornelli e parcheggi riservati, precedenza sulle navette e ai punti ristoro. Ma la fine del mese è vicina, è già tempo di pensare a un nuovo impiego.
Toto-Expo: l’eredità materiale di Expo 2015
Partiamo dalle buone nuove. Il successo estivo della Darsena fa ben sperare sulla riuscita dell’opera di riqualificazione dell’area: prosegue il piano di pedonalizzazione e si azzarda di arrivare fino a via Tortona; alla movida serale si potrebbero affiancare gare di vela e canoa e le attività di Mercato Metropolitano.
Le proposte più quotate per il dopo-Expo sono la nuova Città Studi dell’Università Statale, con un campus, residenze per studenti e strutture per la ricerca; ma anche la “Silicon Valley” di Assolombarda, un parco tecnologico sull’agroalimentare. E l’Albero della Vita? Lasciarlo dove si trova o portarlo in piazzale Loreto, in Darsena, a Rho? Ma soprattutto, chi ne sosterrà le spese?
Mentre il piano di smantellamento partirà a novembre, il governo sembra voler rilevare le quote di Arexpo per investire sul futuro del sito. Poche certezze per ora, a parte l’attenzione dei cittadini milanesi, lombardi, italiani che chiedono trasparenza: sulla rifunzionalizzazione dell’immensa area e lo smaltimento dei rifiuti speciali, ma soprattutto sul rispetto del protocollo di legalità. Perché non si ripetano le storie di corruzione che hanno macchiato Expo 2015 (tra gli ultimi lo scandalo dell’appalto truccato per Palazzo Italia e il commissariamento di Set Up Live, l’azienda che si è occupata dell’allestimento dei cluster, sospettata di rapporti con la ‘ndrangheta). Perché non si sprechi l’occasione di lasciare alla collettività, principale finanziatore dell’impresa, spazi rinnovati e fruibili.
Carta in tavola: l’eredità culturale di Expo 2015
Nutrire il pianeta, energia per la vita, ovvero salvaguardia delle biodiversità, pratiche agricole sostenibili e diritto al cibo. Questi i temi di cui l’Expo milanese doveva farsi promotrice, ma sembra che, per quanto i padiglioni si siano ispirati alle linee-guida (e non sempre è così evidente), ben poco sia stato percepito dai visitatori. Così la pensa una visitatrice “speciale”, Sara Pezzotta. Appena tornata da 6 mesi di lavoro in Sud Sudan, è stata catapultata nella sfavillante fiera per rappresentare le attività dell’onlus Tonjproject.
«Ho visto molta contraddizione. Ho visitato i padiglioni dei Paesi africani: sembravano delle attività puramente commerciali». Un’altra amara scoperta lo spazio di Save the children, che illustra la cruda storia di un bimbo africano che soffre la fame: «Molto forte, ma troppo “spettacolarizzata”». E infine il supermercato tecnologico di Coop: «Pensavo fosse una provocazione. Tocchi un prodotto e un pannello interattivo ne mostra origine e proprietà. A prendere la frutta ci pensa un braccio meccanico. Uno scenario futuristico angosciante». Più confortante l’«interattività sobria» dei percorsi sensoriali di Slow Food.
L’impressione è che Expo 2015 abbia sacrificato i grandi temi in nome dell’autopromozione dei singoli Paesi e dello spettacolo visivo. Non ci si aspettava una rivoluzione delle coscienze, ma la coerenza di essere i primi promotori del cambiamento che si auspica nel mondo.
Il possibile riscatto è la Carta di Milano, documento sottoscritto da autorità di tutto il mondo e cittadini comuni, discussa l’11 ottobre tra 26 tavoli tematici. Grande assente, per Caritas Internationalis, è «la voce dei poveri»: manca una strategia per la risoluzione di problemi come «la speculazione finanziaria, l’accaparramento delle terre, la diffusione degli Ogm e la perdita di biodiversità». Gli obiettivi a lungo termine di questo grande evento sono ambiziosi e impegnativi: speriamo non rimangano solo parole sulla carta.
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