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Vivere nella Parigi del terrore

Ieri sera, Venerdì 13, alle 22:30 mi trovavo nella zona di Marcadet Poissoniers. Non troppo lontano da uno di punti nevralgici degli attacchi terroristici. Stavo accompagnando a casa una mia amica in un quartiere che la sera non è uno dei più sicuri. Fermi al semaforo vediamo sfrecciarci davanti un mezzo della polizia ad alta velocità. Un incidente, pensiamo. Ma quando alla prima auto ne seguono altre due, poi tre, quattro e altrettante ambulanze, iniziamo a scartare tutte le ipotesi, dall’incendio alla rissa. ” Sono sicura che è un attentato”, mi dice la mia amica ma io non voglio pensare a questo. E’ troppo assurdo. Troppo impossibile. Non faccio in tempo a rincasare che ricevo una telefonata. E’ lei che mi dice con un tono a metà fra la disperazione e la paura che ci sono stati più attacchi terroristici a Parigi.

Entro in casa e mi precipito al computer. Verifico le notizie e ogni secondo di più rimango attonito e sconvolto. Il telefono, skype, facebook e tutti i mezzi che ho per comunicare col resto del mondo iniziano a squillare. Parenti e amici che ti chiamano per sapere se stai bene, se sei vivo. E’ insensato, penso, sono a Parigi, non in un territorio di guerra in Medio Oriente. Nel frattempo la situazione si fa sempre più chiara. Nel continuo susseguirsi di informazione il quadro si fa sempre più drammaticamente chiaro.

Decido, con un po’ d’incoscienza, di uscire di casa e raggiungere la mia amica per recarsi su uno dei luoghi e vedere cosa accade. L’atmosfera per le strade è surreale. Le stesse persone che avevo visto allegre discutere ai tavolini dei bar dieci minuti prima, rincasando, adesso sono attaccate ai telefoni; qualcuno corre, non si capisce perché o verso dove. E’ come l’effetto di un alveare scosso. Il silenzio della normalità viene in un attimo scosso e il primo effetto è quello di un ronzio continuo, un caos dove tutti si muovono disordinatamente.

Il nostro progetto di recarci in loco non ha avuto successo. L’unica possibilità è tornare a casa, e veloci. Correre, correre al nido. Per le strade, ormai deserte, quelle poche persone che camminano ti urlano “rentrez chez vous“. Ecco quelle api che prima popolavano i bar e si muovevano in maniera caotica e spaventata non ci sono più. Le serrande si abbassano. I tavoli si svuotano. I marciapiedi sono deserti.

Chiudo la porta di casa. Io sono stato fortunato. Io sono vivo, stavolta. Ma domani?

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Andrea Turchi

Mi chiamo Andrea Turchi ed ho 25 anni. Provengo da Firenze, dove mi sono laureato in Lettere Moderne ed attualmente studio Editoria presso l’Università Statale di Milano. Pequod per me è non solo un’occasione di crescita ma qualcosa di più: Pequod è una lente per osservare il mondo, un mezzo per suggerirvi una prospettiva diversa, una famiglia della quale faccio parte da più di 1 anno. Mi occupo soprattutto di attualità e cultura e spero che apprezzerete i miei articoli.

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