Shanghai, la città più popolosa del mondo
Da anni al centro delle attenzioni internazionali, come modello delle possibilità d’intervento sull’incremento demografico, soprattutto per via delle numerose politiche di controllo nascite, la Cina continua a vantare il primato di stato più popoloso al mondo, con oltre 1,385 miliardi di abitanti. Distribuita sul vastissimo territorio nazionale, la densità degli abitanti non sfiorerebbe nemmeno quella di gran parte dei paesi europei; ma la maggior parte della popolazione cinese si concentra in 21 aree urbane.
Come si abita un mondo così densamente popolato? Come si vive in una megalopoli? Pequod ha incontrato Francesca Gotti, architetto bergamasco che ha trascorso undici mesi a Shanghai, la municipalità più estesa e popolosa del mondo.
«Mi sono trasferita in Cina per scrivere la mia tesi di laurea in architettura e ho vissuto sempre a Shanghai, in un quartiere tradizionale, costruito secondo un modello tipico cinese degli anni 50: quartieri con piccole stecche residenziali a quattro o cinque piani, abbastanza piccole se confrontate con i modelli costruiti oggigiorno. La metratura minima per persona è davvero scarsa: dividevamo una ventina di metri quadrati in due persone. Anche le case più moderne, costruite negli ultimi dieci anni, hanno comunque degli standard molto bassi rispetto a quelli europei, dovuti alla necessità di recuperare spazio: la scelta logistica del governo cinese di stipare la popolazione sulla costa e di non far progredire la vita delle campagne ha fatto sì che nascessero pochi centri urbanizzati densamente abitati.
La mia tesi prendeva in analisi i luoghi della collettività tradizionale che sopravvivono all’interno della megalopoli, attraverso lo studio di tre casi: un quartiere Lilong, una baraccopoli e una fabbrica dismessa sul tetto della quale era stato costruito un villaggio. In tutti i contesti, si ricreavano le dinamiche sociali ed economiche tipiche della vecchia Shanghai, ma in modi molto diversificati; li accomuna una prospettiva di abbattimento e di sostituzione: dagli inizi degli anni 90 ai primi del 2000, estesi quartieri di Shanghai sono stati rasi al suolo per fare spazio a blocchi di centri commerciali e grattacieli, al fine di densificare e cambiare la scala urbana. Si è creata nel tempo una bolla edilizia, perché Shanghai non smette di crescere e non interessano le peculiarità culturali: non ha la potenzialità turistica di Pechino e attrae stranieri per confusione, grattacieli e modernità. A essere rase al suolo sono le vie più vecchie, dove ancora esiste vita comunitaria; talvolta si vedono quartieri abbattuti solo per metà: le ditte recintano e demoliscono ciò che riescono ad acquisire, ma ci sono proprietari che non vogliono lasciare la loro vecchia casa, che si trova così circondata da attività edilizie. Spesso i motivi dei residenti sono di natura affettiva, ma più frequentemente pensano di non essere pagati abbastanza; di fatto il progresso oggigiorno attrae chiunque e spesso anche questi proprietari vorrebbero spostarsi nei grattacieli.
Si tratta di un cambiamento economico, sociale e culturale, quello che sta interessando l’odierna Cina, abbagliata dal progresso e affascinata dalla promessa di miglioramento sociale. Lo stesso fenomeno è avvenuto in Italia, nella Napoli degli anni ’50: risanamenti urbanistici a scapito delle antiche vie cittadine; erano tutti abbastanza contenti, in pochi si rendevano conto che stavano distruggendo anche uno stile economico e un modo di vivere».
«Cosa significa, nella dimensione quotidiana, vivere in una megalopoli come Shanghai?»
«Quando sei dentro la città non ti rendi conto delle sue dimensioni effettive; ognuno dei luoghi frequentati rappresenta una realtà a sé stante, una sorta di bolla che ricrea una città in microscala e compatta.
Il mio soggiorno, ad esempio, mi ha dato una prospettiva su tre punti di vista. Il quartiere di residenza, con i negozietti sotto casa specializzati in un solo prodotto (uno che vende solo granchi, uno che vende solo verdure), direttamente collegati con la casa del proprietario, permette il conservarsi di una spiccata socialità tra le generazioni più vecchie. Nel condominio dove abitavo, gli anziani vicini di casa ci regalavano gamberi fritti. Offrivano cibo, chiedevano se avevamo bisogno di qualcosa, facevano domande. Shanghai è una città molto internazionale; il fatto che fossimo giovani e stranieri incuriosiva molto i vicini, ma nessuno ha mai avuto timore di noi.
Molto più basso è il livello di socialità dei giovani universitari; gli studenti escono raramente dall’ambiente universitario e ignorano la realtà circostante. Atenei, case, supermarket e ristorantini sono tra loro connessi, ma separati dalla città. Lo studio dove lavoravo, infine, si trovava in una concessione francese, una situazione totalmente europeizzata: case e negozi che imitano il modello europeo; città dentro la città costruite sul modello di quartieri esteri. Facilissimo socializzare tra stranieri; molto più difficile rapportarsi ai cinesi.
Socialità, sovrappopolazione e urbanizzazione hanno creato a Shanghai due dimensioni contrastanti: case piccole, in cui le giovani generazioni si rintanano, nelle poche pause dal lavoro; oppure case ugualmente minuscole, ma i cui abitanti, perlopiù anziani, vivono più nel cortile e nella strada».
«Dovranno pure spostarsi da una parte all’altra della città, no?»
«La metropolitana è il mezzo più utilizzato, ma è anche la realtà più alienante, in cui ti rendi conto di essere assorbito dalla densità di popolazione. Nessuno parla; i più sono immersi in realtà virtuali, concentrati a guardare film o videogiochi. Le nuove tecnologie e i nuovi modelli urbanistici stanno purtroppo isolando le giovani generazioni che non vivono più la vicinanza ad altre persone in maniera sociale.
I maggiori luoghi di aggregazione sono i centri commerciali, che si dividono tra popolari e di lusso, con gallerie d’arte e boutique. Attività aperte tutto il giorno, ritmi inesistenti; si mangia a ogni ora e c’é sempre qualcosa in moto, dalla persona che gioca a carte a quella che frigge un serpente, giorno e notte. La dimensione umana è molto ristretta: si ha tempo solo per lavorare e mangiare. Anche dal punto di vista urbanistico, c’è sempre qualcosa in costruzione e nessuno spazio è lasciato libero.
E’ un ritmo che stanca, ma al contempo carica. Non hai mai un momento di riposo e sei nel mezzo di una dimensione pazzesca».
«Il tuo viaggio in una parola?»
«Un’esperienza intensa».
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