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Vendere il proprio corpo per non perdere la propria indipendenza

Dal dehors del bar in cui l’aspetto, riconosco la silhouette di Neche che ondeggia melliflua verso di me, coronata dall’inconfondibile criniera di ricci fitti, attorcigliati con cura e decolorati quel tanto che basta a dar loro ancora più carattere. Il portamento impeccabile e la sua bellezza curata sono un monito dell’impegno costante che un certo fascino richiede; la bellezza di una donna, per Neche, non è solo un dono di cui ad alcune viene fatta grazia, ma un dovere quotidiano perché «già è difficile essere donne, in un mondo in cui agli uomini tutto è concesso e la forza fisica vale più dell’intelligenza e della compassione; figurati essere pure brutte!».

Del resto, la bellezza per lei non è mera questione di vanità, bensì una faccenda di lavoro, strettamente connessa alla sua professione di sex worker, che svolge da più di trent’anni. La incontro per chiederle del suo mestiere, per capire come possa essere la sua vita.

Come sei entrata nel mondo della prostituzione?

«Diciamo che è il mestiere di famiglia. Sono nata in una casa semplice ma spaziosa non lontano da Puerto Ayacucho, in Venezuela; da bambina dormivo in un grande letto  condiviso con le mie sorelle posizionato nella cucina, che si affacciava sulla stanza dove mia madre riceveva i suoi clienti. Io sono la figlia maggiore, nata da un amore adolescenziale che ha segnato l’inizio della carriera di mia madre; lei è probabilmente figlia di uno degli ospiti di mia nonna, anche se nessuno sa con certezza chi sia mia nonno.

Non ricordo con esattezza a che età ho iniziato a ricevere denaro per godere del mio corpo: da adolescente sognavo di lasciare l’America Latina per venire in Europa, ma per farlo mi servivano soldi che non avevo, così ho iniziato con qualche marchetta; spesso erano gli stessi uomini che venivano a trovare mia madre che si eccitavano all’idea di toccare il corpo di una giovane vergine o anche solo vedermi nuda, prima di avere rapporti completi con lei. Ho perso la mia verginità per amore, con un compagno di scuola; quando la nostra storia è finita, ho rispolverato il mio sogno nel cassetto e ricominciato ad accumulare risparmi con le marchette, ma iniziavo a essere grande e gli uomini chiedevano di più.

Una volta trovati i soldi per il biglietto aereo, la difficoltà restava ottenere un visto d’ingresso; uno dei clienti di mia nonna, che aveva contatti con ambienti consolari, mi propose un incontro con un uomo che poteva farmi avere un visto per l’Italia. È così che sono arrivata in questo Paese».

E una volta arrivata in Italia non hai pensato di cambiare professione?

«I primi tempi in Italia lavoravo di sera come cameriera, mentre di giorno frequentavo la scuola per parrucchiere. È stata la mia coinquilina a suggerirmi di rivalutare il sesso come forma di guadagno; vedeva che ero sempre molto stanca e un giorno mi ha detto: “Sai Neche, non serve far tanta fatica: basta che ti trovi un uomo coi soldi e lo sposi, così lui ti mantiene e tu hai i documenti per restare qui”. Nonostante la mia professione, avevo sempre avuto molto rispetto per il matrimonio, ma quando lei mi ha presentato Antonio, il mio ex marito, mi è sembrato che la sua idea fosse un buon compromesso. Non avevo fatto i conti con il modo in cui lui mi avrebbe trattata: ogni discussione diventava motivo per picchiarmi e minacciarmi; spesso mi diceva che mi avrebbe tolto i documenti e le nostre due bambine. Così dopo un paio d’anni, finita la scuola, ho fatto le valigie e mi sono trasferita in un’altra città.

Qui ho dovuto ricominciare tutto da capo: ho trovato una piccola casa e un altro lavoro serale, ma i soldi scarseggiavano e le bambine restavano spesso a casa da sole. Grazie ad alcuni contatti con altre ragazze venezuelane, ho iniziato a frequentare locali dove era possibile incontrare uomini disposti a pagare per trascorrere una notte assieme. I rapporti sessuali rendevano molto più del lavoro di cameriera, così ho iniziato a crearmi un giro di clienti fissi, un paio dei quali frequento fino a oggi».

Ad oggi, continui a essere una sex worker? Come si svolge una tua giornata-tipo?

«Non ho mai lasciato la mia attività perché di fatto guadagno molto e sono totalmente autonoma. Non ho mai avuto protettori, né sono mai stata costretta a fare cose che non volevo o stare con uomini che non mi piacevano: i miei clienti sono tutti habitué, persone che conosco ormai da molto tempo; diciamo che è come se avessi numerose relazioni, ma nessuno degli uomini con cui esco e faccio sesso può dirmi come comportarmi o intervenire nelle mie scelte. Cresco le mie figlie come meglio credo e gestisco un’attività regolare: il salone di parrucchiere che era da sempre nei miei sogni e che ho aperto una quindicina d’anni fa.

Le mie giornate sono piene di impegni, anche se ora che le mie figlie sono grandi non devo più preoccuparmi di essere a casa in tempo per sostituire la baby sitter e preparare la colazione, che ho sempre preso con la famiglia. La mia routine quotidiana è la stessa da anni: la mattina, dopo le faccende domestiche, vado in palestra per 2/3 ore; dopo pranzo passo dal salone in cui lavorano 3 ragazze, per controllare i conti e la gestione; verso le 16 torno a casa e inizio a prepararmi per l’aperitivo e a prendere accordi con il cliente del giorno. Ho una seconda casa dove passo la notte in compagnia degli uomini».

Come gestisci il rapporto con le tue figlie? Sanno della tua attività?

«Ho sempre cercato di essere una madre il più possibile presente, accompagnandole e andandole a prendere a scuola ogni giorno, trascorrendo le ore pomeridiane con loro, dedicando a loro i week-end. La sera però è raro che io sia a casa e loro sanno che è perché vado a lavorare, ma non conoscono il mio mestiere. Per loro ho ambizioni migliori e sono molto fiera di come sono andati i loro studi e di come si stanno realizzando; volevo spezzare la catena di eredità del mestiere. Hanno un’idea vaga di quello che faccio: quando chiedevano, ho sempre risposto che lavoravo in un locale notturno, ma senza specificare la mia mansione».

Quali sono i rischi del mestiere? Come evitarli?

«Per quanto io cerchi di avere clienti regolari, ho dovuto conoscere molti uomini prima di stabilizzarmi e non tutti sono stati gentili con me. In un paio di occasioni mi è capitato di essere aggredita e trovarmi davvero in pericolo di vita; in entrambi i casi perché il cliente aveva esagerato nell’assumere cocaina, di cui, non ti nego, io stessa faccio uso. Evitare clienti sconosciuti è l’unico modo per sfuggire a questi rischi.

Anche le malattie sessualmente trasmissibili sono un pericolo che si corre. La maggior parte dei clienti paga di più per avere rapporti non protetti, ma io li accetto solo in caso di persone che conosco e che dimostrano di avere gli esami del sangue puliti. Anche usando i preservativi, ci sono comunque malattie che si trasmettono con il sesso orale o anche meno e da queste è quasi impossibile tutelarsi».

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Sara Ferrari

Nata e cresciuta nelle valli bergamasche a fine anni 80, con una gran voglia di viaggiare, ma poca possibilità di farlo, ho cercato il modo di incontrare il mondo anche stando a casa mia. La mia grande passione per la letteratura, mi ha insegnato che ci sono viaggi che si possono percorrere anche attraverso gli occhi e le parole degli altri; in Pequod faccio sì che anche voi possiate incontrare i mille volti che popolano la mia piccola multietnica realtà, intervistandoli per internazionale. Nel frattempo cerco di laurearmi in filosofia, cucino aperitivi e stuzzichini serali in un bar e coltivo un matrimonio interrazziale con uno splendido senegalese.

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