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La lunga strada per il riconoscimento



Gennaio 2014: allo stadio La Cisterna di Santiago del Cile i padroni di casa scendono in campo con le nuove divise, di colore bianco-rosso-verde-nero come da tradizione e una particolare grafica dei numeri che campeggiano sulle spalle dei giocatori, come ogni muta da calcio vuole. Ogni numero è disegnato in modo da richiamare la forma di un particolare stato. O quasi-stato, o regione. Anche la definizione è difficile, perché i padroni di casa sono l’Atletico Palestino e la parte di mondo stilizzata sul retro della maglia è proprio la Palestina. Tale operazione, messa in atto come segno di sensibilizzazione nei confronti della situazione palestinese, è costata alla società una multa di 1300 dollari, dopo che il presidente di un’altra squadra del campionato, il signor Patrick Kiblinski del Ñublense, ha segnalato alla federazione il fine politico della manifestazione. I giocatori hanno reiterato l’operazione successivamente, questa volta scendendo in campo con la bandiera palestinese tatuata sulle braccia, che è costata altri 17000 dollari di multapalest1.

L’Atletico Palestino è una realtà che dal 1920 rappresenta in Cile il più folto gruppo di palestinesi all’esterno del mondo arabo (si stima siano circa 500,000 persone) e che, puntualmente, vive di frizioni con l’altrettanto corposo gruppo di origine ebraica che popola il paese andino. Le origini dell’emigrazione in Sud America hanno radici lontane, nella metà del XIX secolo, che ha visto approdare in Argentina prima e Cile poi, moltissimi abitanti della zona fra la Palestina e la Giordania. I locali li hanno da lì etichettati come “turcos”, in quanto rifugiati provenienti da quello che si chiamava ancora Impero Ottomano e la denominazione ha assunto anche valore dispregiativo nell’opinione pubblica e sulla carta stampata.

I fatti del 2014 hanno ribadito che, sebbene il cieco razzismo dei primi del ‘900 si sia molto affievolito, il contrasto fra palestinesi (i tifosi del Palestino) ed ebrei/israeliani (come il signor Kiblinski) è sempre attivo; ora ardente, ora latente, in qualsiasi parte del globo.

Intere biblioteche sono state scritte, fiumi di parole riversati, mesi e mesi di trattative condotte, ma non è chiaro come la frattura, nella terra promessa, possa essere sanata. La via politica è stata intrapresa anche in Europa, otto paesi appartenenti all’UE (Repubblica Ceca, Bulgaria, Romania, Ungheria, Svezia, Malta, Polonia, Slovacchia) hanno riconosciuto lo Stato di Palestina ufficialmente, la stessa UE lo ha fatto con la risoluzione 2014/2964 dello scorso dicembre. In generale, 121 paesi nel mondo hanno ufficializzato la dignità internazionale del paese.palest3

E l’Italia? Pochi giorni fa sono state approvate dal Parlamento due mozioni in contrasto fra loro: l’una, a firma del PD, impegna il nostro paese a riconoscere lo Stato di Palestina in parallelo al proseguimento degli accordi di pace, l’altra, proveniente da NCD e AP, inverte le precedenze, creando una certa oscurità sulla posizione che il nostro paese ha assunto, andando a scontentare entrambe le parti in causa, che in Italia, in Cile e in ogni paese del mondo, stanno ancora cercando una soluzione.

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Ivan Tomasoni

Studente di ritorno in marketing, osservatore felicemente timido, di poche parole e troppe virgole. Sono stato stregato dal planisfero in terza elementare. Ringrazio Alvaro Recoba per il genio, Audrey Tautou per la finezza e J Dilla per la sintesi. Amo le stazioni di servizio in autostrada, detesto il bianco-o-nero. Sono salito a bordo nel novembre 2014 e sono il discutibile responsabile della sezione di attualità, che cerco di coordinare nell’ottica del più ampio e capace respiro possibile.

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