I partigiani di oggi rischiano la vita per la democrazia in Medio Oriente
Nonostante le dimostrazioni di potenza distruttrice degli attentati terroristici di Parigi e Bruxelles e il numero crescente di reclute occidentali, lo Stato Islamico sembra perdere sempre più terreno e supporto popolare in Medio Oriente. Già a gennaio 2016 i territori occupati dall’IS si erano ridotti notevolmente sia in Siria che in Iraq, un effetto dei bombardamenti occidentali e della lotta sul campo delle forze curde, i gruppi YPG (Unità di Difesa Popolare) e YPJ (Unità di Difesa delle Donne) e i Peshmerga del Kurdistan settentrionale. Insieme alla predominanza militare, lo Stato Islamico sta perdendo anche la stretta psicologica sulle popolazioni dei territori occupati, dove azioni di disobbedienza civile crescono in numero e audacia.
Esiste dunque una resistenza mediorientale contro lo Stato Islamico? A giudicare dai resoconti provenienti dalla regione decisamente sì, e come fu per il fenomeno della Resistenza italiana, anche quella contro l’IS varia nei metodi, passando dalla guerriglia in armi alle proteste non-violente.
A rendersi protagoniste dell’opposizione armata più strenua ed efficace contro lo Stato Islamico, appunto, sono stati finora i peshmerga iracheni e, in Siria, le milizie curde dei YPG e YPJ; tra le due fazioni, che politicamente hanno poco in comune, le YPG hanno attirato molta attenzione mediatica grazie alla spregiudicatezza dimostrata nel combattere con mezzi limitati un nemico ben armato e finanziato come l’IS (a differenza dei Peshmerga, che sembrano possedere armi più adeguate) e per l’ideologia che le caratterizza.
La lotta del YPG non è infatti unicamente volta a contrastare l’IS, ma si inscrive in un quadro più ampio di cambiamento sociale che i curdi sperano di attuare sul territorio. Nel 2013 questi hanno dichiarato il Rojava (Kurdistan occidentale) area autonoma all’interno della Siria, suddivisa in tre cantoni governati da assemblee popolari. Il YPG si contraddistingue inoltre per una forte spinta anti-capitalista e per l’aspirazione a creare una società equa e governata dal basso, basata sull’eliminazione delle gerarchie sociali, a partire da quelle di genere.
Sebbene l’organizzazione sottolinei di essere separata dal Partito dei Lavoratori Curdi (PKK), considerato un’organizzazione terrorista da Turchia, Stati Uniti ed Europa, la sua vicinanza a quest’ultimo la rende sospetta per Erdogan, mentre la maggior parte delle forze occidentali ha imparato a vederla come alleata nella lotta contro l’IS. Sospetti e critiche verso il suo operato vengono anche da altri: Amnesty International l’ha accusata di operare rimozioni forzate delle popolazioni arabe dai villaggi nelle aree sottoposte al suo controllo, mentre alcuni suggeriscono che abbia legami poco chiari con il regime di Assad. Le YPG rigettano tali accuse e prendono le distanze dalle aspirazioni nazionaliste del PKK, presentandosi come un’entità multi-etnica e multi-nazionale impegnata nella difesa di tutte le popolazioni etniche del Rojava.
Gli entusiasmi e gli scetticismi riguardo alle YPG abbondano ed è difficile stabilire dove sia la verità nel groviglio di informazioni più o meno di parte che ci raggiungono. Quello che è certo è che le loro aspirazioni di giustizia sociale e la tenacia dimostrata nel combattere il fascismo religioso dell’IS rendono difficile non vederle un po’ come le brigate partigiane del nuovo millennio.
Come accennato sopra, la resistenza contro lo Stato islamico in Medio Oriente è fatta anche di episodi di disobbedienza civile e infazioni quotidiane dei codici islamici imposti. Nel 2013 una manifestazione dei siriani di Raqqa era riuscita ad ottenere la liberazione di un uomo arrestato dall’IS con l’accusa di aver tentato di contrastare un attacco delle milizie islamiche contro la casa di un residente sciita. Nel 2014 la popolazione di Mosul, in Iraq, si organizzò per impedire la demolizione della moschea di Souq-al Sharin, considerata eretica dal califfato, e riuscì a salvarne una parte dormendovi dentro nei giorni scelti per la distruzione. Resoconti più recenti indicano che le diserzioni dai ranghi dell’IS sono in crescita, motivate presumibilmente dalla disillusione incontrata dai combattenti una volta realizzata la distanza tra le promesse del gruppo e le reali condizioni di vita sotto il califfato. Allo stesso tempo un gran numero di civili siriani continua a resistere la coscrizione nelle milizie islamiche, mentre medici e avvocati rifiutano di lavorare per loro.
Ma l’attività di resistenza non-violenta contro l’IS più nota al momento è forse quella degli attivisti del collettivo giornalistico Raqqa is Being Slaughtered Silently (letteralmente, “Raqqa sta venendo massacrata silenziosamente”). Attivo dal 2014, il gruppo si occupa di documentare la vita quotidiana nella città siriana sottoposta al dominio dell’IS, svolgendo anche pericolose attività di propaganda clandestina come l’affissione di poster e l’esecuzione di graffiti contrari all’IS per le strade della città. Il gruppo conta almeno quattro membri uccisi dai miliziani e molti altri ancora soggetti a minacce di morte, ma continua nonostante questo la sua attività di contro-informazione. Il sito Mosul Eye svolge un’attività di contro-informazione simile dalla città irachena di Mosul, contribuendo a demistificare l’immagine idilliaca di vita sotto la legge islamica diffusa dall’IS.
Atti di sfida e resistenza abbondano nei territori controllati dal califfato e sebbene coloro che se ne rendono protagonisti siano soggetti a rappresaglie cruente, le loro azioni aprono la strada a una speranza di democrazia per la regione e non solo. Questo 25 aprile sembra la data perfetta per rivolgere un pensiero all’impegno di quanti rischiano la vita per combattere uno dei fascismi contemporanei più sanguinari e per augurarsi che conoscano presto la loro Liberazione.
In copertina: combattenti curdi di YPG e YPJ (autore: Kurdishstruggle CC-BY 2.0/Wikimedia Commons).
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