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Referendum del 4 dicembre: cosa prevede la riforma costituzionale?

E’ il 4 Dicembre la data calda dell’agenda politica italiana. Reduci dalle presidenziali americane e appena scesi da una giostra di tensione, frustrazione, gioia e rabbia, toccherà a noi presenziare alle urne per votare a un referendum al fine di approvare o respingere la riforma della costituzione più stravolgente di sempre.

L’istituto del referendum è previsto dall’articolo 138 della costituzione italiana, il quale prevede che, nel caso di referendum costituzionali, perché l’esito sia considerato valido non è necessario il raggiungimento di un quorum. Ecco cosa comporta la riforma che si prefigge di modificare l’assetto istituzionale del paese.

Il bicameralismo perfetto che se ne va…..

Il parlamento si farà più imperfetto, la Camera dei deputati resterà quella che conosciamo, mentre sarà il Senato a subire modifiche notevoli. I due rami parlamentari non vivranno più in simbiotico rapporto, anzi. Saranno ora solo i deputati e non più anche i senatori, a sostenere il governo a suon di eventuali fiducie, mentre il Senato sarà solo l’espressione dei territori regionali. Infatti il Senato, nelle sue nuove vesti, diventerà un organo rappresentativo delle autonomie regionali (si chiamerà Senato delle Regioni), composto da cento senatori (invece dei 315 attuali), che non saranno eletti direttamente dai cittadini. Infatti 95 di loro saranno scelti dai consigli regionali che nomineranno con metodo proporzionale 21 sindaci (uno per regione, escluso il Trentino-Alto Adige che ne nominerà due) e 74 consiglieri regionali (minimo due per regione, in proporzione alla popolazione e ai voti ottenuti dai partiti). Questi 95 senatori resteranno in carica per la durata del loro mandato di amministratori locali.

In questo nuovo e riformato sistema parlamentare le leggi ordinarie saranno di competenza della Camera dei deputati, che resterà il solo e unico ramo dell’attuale Parlamento ad essere eletta direttamente dai cittadini. Tuttavia il Senato, ricoprendo una funzione consultiva, potrà esprimere pareri sui disegni di legge approvati dalla Camera e proporre modifiche. A tal scopo, ogni ddl approvato sarà immediatamente trasmesso al Senato della Repubblica che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, potrà disporre di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il Senato della Repubblica sceglierà se deliberare proposte di modificazione del testo, che la Camera dei deputati, pronunciandosi in via definitiva, potrà anche decidere di non accogliere. I senatori continueranno inoltre a partecipare all’elezione del Presidente della Repubblica, dei componenti del Consiglio Superiore della Magistratura e dei giudici della Corte Costituzionale. La funzione principale del Senato, però, sarà quella di agire da raccordo tra lo Stato, le regioni e i comuni.

Piazza del Campidoglio (ph: Jensens by Wikimedia Commons)

Per veder ancora il Senato assumere le vesti di legislatore bisognerà aspettare la trattazione di materie che gli studiosi definiscono “di sistema”, ovvero tutte le leggi di rango superiore. Ne fanno parte, ad esempio, le leggi di attuazione dei referendum popolari e delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, le riforme costituzionali e le leggi che determinano le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea.

L’abbattimento dei costi della politica

Proviamo ora a indossare degli occhialetti da ragioniere, accendiamo il calcolatore, ma prima di tutto riflettiamo; il Senato allo stato attuale è composto da 315 membri, mentre in seguito alla riforma l’assemblea di Palazzo Madama passerebbe a poco più di un centinaio. Vero. Contestualmente il CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro), composto da 64 consiglieri e con funzione consultiva per quanto riguarda le leggi sull’economia e il lavoro, verrà abolito. Salteranno dunque diverse laute poltrone? Sì. A detta del fronte a favore del “no”, tuttavia, questi tagli non saranno significativi, né soddisfacenti. Anticipiamo però al lettore che anche la riforma del titolo V potrebbe risultare motivo di risparmio di denaro pubblico. Vedremo il perché.

Riforma del Titolo V

Il Titolo V nella nostra Costituzione disciplina la ripartizione di competenza legislativa tra Stato e Regioni. Specificatamente l’art. 117 della Carta Costituzionale individua materie esclusivamente di competenza statale e materie di legislazione concorrente. Per quest’ultime la potestà legislativa spetta alle Regioni, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. La competenza concorrente riguarda materie che spaziano dai rapporti internazionali al commercio con l’estero, dalle grandi reti di trasporto e navigazione fino alla valorizzazione dei beni culturali e ambientali. Per tutte le materie non espressamente indicate, la competenza è lasciata alle regioni.

Con la riforma, invece, una ventina di materie tornano alla competenza esclusiva dello Stato. Tra queste: l’ambiente, la gestione di porti e aeroporti, trasporti e navigazione, produzione e distribuzione dell’energia, politiche per l’occupazione, sicurezza sul lavoro, ordinamento delle professioni.

Qual è la ragione alla base di questa novità?

L’obiettivo che si è prefisso il riformatore è ridefinire i perimetri di competenza di Stato e Regioni, che finora erano spesso motivo di scontro tra i due attori in seno alla Corte Costituzionale, a discapito però dell’azione di governo e della celerità della legiferazione e, non ultimo, fonte di lunghi contenziosi generatori di ingenti spese processuali. Il legislatore vorrebbe così anche mettere sul piatto qualche ulteriore taglio alla spesa pubblica.

Palazzo Chigi, sede della Presidenza del Consiglio dei Ministri (ph, Simone Ramella CCA 2.0 Wikimedia Commons)

Referendum abrogativo e leggi d’iniziativa popolare

Il quorum che rende valido il risultato di un referendum abrogativo resta sempre del 50 per cento più uno degli aventi diritto al voto, ma se i cittadini che propongono la consultazione sono 800mila, invece che 500mila, il quorum sarà ridotto: basterà che vada a votare il 50 per cento più uno dei votanti alle ultime elezioni politiche, non il 50 per cento più uno degli aventi diritto. Per proporre una legge d’iniziativa popolare, inoltre, non saranno più sufficienti 50mila firme, ma ne serviranno 150mila.

A conclusione, quando saremo in cabina di voto dovremo utilizzare cervello e/o cuore e fare liberamente la nostra scelta. Dobbiamo essere però consapevoli del fatto che una riforma potrà sempre essere perfettibile, ma affinché possa essere una reale miglioria per il sistema Italia non potrà mai prescindere dalla correttezza, dalla capacità e dall’onestà degli interpreti politici, i soli in grado di stravolgere in bene o in male l’assetto politico di un Paese. Gli istituti giuridici di cui abbiamo parlato finora, infatti, sono e saranno sempre come degli abiti di sartoria che, per quanto fine, sono in grado di differenziarsi solo se hanno un indossatore di un certo spessore.

Immagine di copertina Palazzo Madama, sede del Senato, Roma (autore: Paul Hermans CCA 3.0 Wikimedia Commons)

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Mirko Pizzocri

Ho 32 anni e arrivo dall’estrema provincia di Milano, insomma dalla campagna alla city, per necessità, lavoro e studio, ma forse un pochino anche per piacere. Sono laureato in Giurisprudenza, e manco a dirlo da grande vorrei fare l’avvocato. Intanto mi diletto e diverto tra sport praticati, lettura e viaggi. Ultimamente, frequentando la ciurma di Pequod, ho anche preso gusto a scrivere...

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