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L’urbanesimo della resistenza: la rinascita dei beni confiscati

La campagna elettorale tace e, con essa, la pletora di partiti e relativi candidati che per settimane ci hanno “intrattenuto” con le loro promesse. I mesi che ci lasciamo alle spalle sono i mesi del dibattito: sui migranti prima di tutto, conditi con sparatorie eastwoodiane negli italici borghi rigurgitanti fascismo della lega più infima, su qualche tassa da livellare e qualche riforma che – dicono – sia il caso di mandare in pensione.

Di certo si è fatta molta attenzione a non citare quei mali, nemmeno troppo oscuri, della nostra nazione: l’illegalità diffusa e la criminalità organizzata. Anzi, quando se n’è parlato, spesso si sono usati termini impropri, volti a edulcorare e imbiancare uno scenario triste e brutto. Un esempio su tutti l’espressione utilizzata nel dibattito sui condoni edilizi: abusivismo di necessità. Nessuna parola o gesto di condanna verso chi, da anni, maltratta l’ambiente e il paesaggio del Paese, sia esso rurale o urbano.

Altro termine-simbolo del momento è paura. La paura destabilizza, crea incertezze, irrita e non va d’accordo col raziocinio, con le idee geniali e innovative. Con la paura, probabilmente, non sarebbero mai nate, in Italia, quelle realtà che portano ventate del fresco profumo di libertà di cui parlava Borsellino in uno dei suoi ultimi interventi pubblici.

Quelle stesse realtà che, per esempio, da oltre un ventennio gestiscono i beni confiscati alle mafie e li fanno rivivere. Si tratta di fabbricati, terreni incolti, aree dismesse e locali destinati a far rivivere un territorio, una comunità e aiutare chi è in difficoltà. Spazi e locali che fanno parte del territorio, del contesto urbano che lo compone. Aree che, per una volta, spazzano via il velo grigio degli affari loschi e portano i colori vivaci dello sviluppo e della cooperazione.


Associazioni, nomi e numeri che tracciano un percorso

Quando si parla di beni confiscati e di lotta alla criminalità organizzata, non si può non citare “Libera”. L’associazione creata nel 1995 da don Ciotti nel tempo è diventata il simbolo di una lotta alla criminalità diversa, che trova la sua ragion d’essere proprio nell’attività del recupero e trasformazione dei beni sequestrati alle mafie.

Don Luigi Ciotti, presidente di “Libera. Associazioni nomi e numeri contro le mafie”.

“Vogliamo che lo Stato sequestri e confischi tutti i beni di provenienza illecita, da quelli dei mafiosi a quelli dei corrotti. Vogliamo che i beni confiscati siano rapidamente conferiti, attraverso lo Stato e i Comuni, alla collettività per creare lavoro, scuole, servizi, sicurezza e lotta al disagio”. Era il 1996 e con queste parole Libera portava avanti la proposta di legge popolare per mettere in atto ciò che Pio La Torre, deputato siciliano ucciso dalla mafia nel 1982, aveva intuito: impoverire la mafia, indebolirla colpendone il patrimonio.

Sono passati esattamente 22 anni da quel 7 marzo 1996. Da quel giorno l’ordinamento italiano ha nel suo corpus di leggi anche il riutilizzo sociale dei beni confiscati ai mafiosi. Ad oggi, secondo i dati pubblicati dall’Agenzia Nazionale per l’Amministrazione dei Beni Confiscati, sono circa 17 mila i beni confiscati alla criminalità.

 

Integrazione locale

Si tratta spesso di edifici che rischierebbero l’abbandono e che, al contrario, vengono recuperati e affidati, spesso, a cooperative sociali o associazioni vicine al territorio. Fabbricati che cambiano destinazione e cambiano le città, i paesi. Restituiscono vita e speranza alla comunità. Da Palermo a Varese, sono tanti gli esempi che si possono citare.
Officina Casona è una cooperativa sociale di Castellanza, in provincia di Varese, che sorge in un edificio appartenuto a un boss del narcotraffico. Oggi quei locali ospitano spazi aperti a tutti e dedicati alla socialità, alla formazione, a laboratori e corsi di vario genere, specie artigianali.

A Palermo sorge, invece, la cooperativa sociale Al Reves, anche questa una cooperativa sociale che ha nella sartoria la sua principale attività. Non mancano anche qui percorsi di inserimento professionale, attività di pubblica utilità per i giovani con problemi giudiziari e attività di formazione soprattutto in ambito imprenditoriale.

Sono tutte facce della stessa medaglia: quella dell’impegno e della lotta. Idee figlie dello stesso obiettivo, quello di ridare le città a chi le vive. Di alzare la testa contro i soprusi e l’imposizione dei fenomeni criminali. Ma anche le idee di chi fa politica attiva, chi si batte e non si piega, di chi crede nella politica, nel voto e negli uomini.

 

In copertina: Palermo, la città con il maggior numero di beni confiscati alle mafie in Italia (© Xerones/Flickr/CC BY 2.0)

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