Come si organizza il primo Bergamo Pride?
Il primo Bergamo Pride della storia si avvicina e noi siamo trepidanti: ma cosa c’è dietro al corteo del prossimo 19 maggio? Chi lo organizza e come? Pequod l’ha chiesto a Martina, che fa parte del comitato Giù la maschera.
Quando avete iniziato a sentire il bisogno di organizzare un Pride e perché?
Il bisogno c’è più o meno da quando è stato fatto lo “Svegliati Italia” per la legge Cirinnà sulle unioni civili. La manifestazione è stata bellissima, poi però l’entusiasmo è andato scemando, anche perché non ci sono stati casi eclatanti di omofobia. Circa un annetto fa invece, con il caso del Secco Suardo (sul cui giornalino scolastico è stato pubblicato un articolo di posizione omofoba, ndr) ci siamo resi conto che la città aveva bisogno di un evento come il Pride.
Quali sono state le varie fasi dell’organizzazione del Pride?
Le fasi sono state molte, complesse e impegnative. Dai mesi di agosto e settembre scorsi, si sono seduti ad un tavolo il comitato “Giù la maschera” (composto dall’associazione Bergamo contro l’omofobia, dall’ex Arcilesbica Bergamo – ora Lesbiche XX Bergamo, ndr – e da qualcuno di Rompiamo il silenzio) e il comitato “Educare le differenze per combattere l’odio” composto principalmente da Arcigay. Di entrambi i comitati fanno poi parte anche amici, liberi pensatori, altri cittadini in qualche modo legati alla causa.
In seguito, incomprensioni tra associazioni e modi diversi di intendere il Pride, secondo un pensiero più rivoluzionario o più pacato, hanno portato alla fuoriuscita di Arcigay dal tavolo organizzativo. Siamo andati avanti senza di loro, tra riunioni, preventivi, telefonate e ricerca di sponsor. A gennaio ci sono state difficoltà perché Arcigay aveva deciso una data per il Pride, anche se non faceva più parte dello stesso tavolo organizzativo: avere il patrocinio per due Pride sarebbe stato però impossibile, quindi tra alti e bassi alla fine siamo riusciti ad accordarci su una data unica. Non ci interessa metterci la firma, l’importante è che la città si renda conto dei bisogni che hanno i suoi cittadini.
L’organizzazione richiede un sacco di tempo e forze, ma vedere l’affluenza di persone ai primi eventi o i passanti sorridere quando notano l’adesivo del Pride sulle vetrine dei negozi, ci ha fornito la carica necessaria.
Perché un Pride a Bergamo? Nessuno aveva mai provato a organizzarlo prima? Se sì, come mai non è stato portato a buon fine?
Tra gli anni Ottanta e Novanta c’era stata una sorta di piccolo Pride, che aveva avuto poco successo. In seguito è mancata l’idea in sé di Pride e ci si è focalizzati sugli interventi nelle scuole e sugli incontri, piuttosto che sul corteo. Abbiamo però sentito la necessità di scendere in strada e farci sentire, togliendoci la maschera. “Giù la maschera” nasce infatti per unire I seguenti punti: siamo colorati, siamo di Bergamo, vogliamo vivere liberamente. Arlecchino è di Bergamo, è colorato, porta una maschera nera. E allora giù la maschera, perchè io voglio essere libero di camminare mano nella mano con chi voglio, di baciare il mio partner in pubblico senza essere insultato, di parlare della mia compagna o del mio compagno senza cambiare la vocale alla fine della parola per non sentirmi a disagio. Abbiamo già molte maschere nella vita di ogni giorno, di questa ne possiamo fare e meno e ce la togliamo in piazza, facendo una piccola rivoluzione nella provinciale e bigotta Bergamo.
Ci sono state difficoltà prettamente “bergamasche”? Forse in qualche altra città sarebbe stato più facile organizzarlo?
Solo a livello logistico l’impossibilità di fare il Pride a giugno, quando la città sarà blindata per l’arrivo della salma del Papa. Nonostante le difficoltà di una piccola città abbiamo trovato supporto: ci aspettavamo più chiusura e diffidenza. Durante il nostro giro tra i negozi, i proprietari di alcuni di essi si sono rifiutati di attaccare il nostro adesivo, ma quasi sempre con gentilezza. Le difficoltà sono nate nei pochi casi in cui ci hanno risposto male, dandoci addirittura dei “maiali”, ma abbiamo anche ricevuto donazioni da gente da cui proprio non ce lo saremmo mai aspettati.
Come è andata la promozione e quali sono state le reazioni?
Abbiamo utilizzato moltissimo i social network, ma la promozione più riuscita è stata quella del passaparola. Siamo andati direttamente dalle persone a spiegare perché è importante per noi il Pride: finché non ci si mette la faccia non si fa davvero la differenza. Andare nei Comuni dei vari paesi a fare una chiacchierata per ottenere il patrocinio porta molte più risposte positive che inviare mail, anche se richiede più tempo.
Da febbraio inoltre abbiamo iniziato a organizzare serate, ad esempio l’aperitivo con la stilista e attivista indiana Divya Dureja che ci ha raccontato come i partecipanti del Pride di Delhi si coprano con mascherine di carta perché, se vengono riconosciuti, dopo il corteo rischiano letteralmente delle sassate. Abbiamo organizzato conferenze, come quella con Massimiliano Frassi dell’associazione Prometeo per la lotta alla pedofilia, e anche una lotteria con premi offerti dai commercianti. Avremmo potuto fare di più sicuramente, ma nonostante la grande quantità di tempo impiegato è stato importante per noi parlare faccia a faccia con le persone, da cui abbiamo ricevuto grande sostegno.
Qual è stato l’evento più riuscito durante la promozione?
Secondo me l’aperitivo al Dolcevita, dove è stato presentato un libro per ragazzi dell’autrice Francesca Bonelli Morescalchi, intitolato “Siamo tutti arcobaleni”. All’evento ha partecipato davvero tanta gente, anche famiglie con bambini, e si è creato un ambiente bellissimo.
Cosa è fondamentale per la buona riuscita di un Pride?
Il concetto di Pride come spazio sicuro: al corteo parteciperanno drag queen, persone con vestiti ordinari, persone più o meno svestite o con vestiti particolari e vistosi, perché è il momento in cui ognuno ha il diritto di mostrarsi come vuole, nel limite minimo della decenza. Questo diritto va rispettato, perciò, se si vuole fare una foto si chiede il permesso, se un tentativo di approccio viene rifiutato bisogna accettarlo, la città va mantenuta pulita. È importante mantenere l’allegria, ma la festa non deve essere scevra di contenuti. Noi dell’organizzazione invitiamo a segnalare qualsiasi situazione che potrebbe creare problemi. Insomma, al pride ci divertiremo, saremo favolosi, ma con responsabilità.
Bergamo Pride si fermerà dopo il 19 maggio o…?
A giugno abbiamo ancora qualche serata organizzata, e speriamo che l’eco del corteo le renda ancora più frequentate di quelle precedenti. Per l’estate ci prenderemo una pausa e a settembre i comitati si riuniranno per tirare le somme e farsi domande riguardo al prossimo anno. È un periodo di cambiamenti per le associazioni e vedremo a cosa porterà. Nel frattempo, cosa avremo fatto alla città? Sicuramente del bene.
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