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Informazione e comunità LGBTQI: cala il PIL, aumentano i gay

Cala il PIL, aumentano i gay”. Così titolava un noto quotidiano italiano qualche tempo fa. Quale fosse il nesso tra l’andamento economico del Paese e la popolazione omosessuale che lo abita non sono mai riuscita a scoprirlo, ma ho immaginato che non fosse la logica il fulcro dell’interesse del titolista. L’importante era trasmettere una percezione negativa della comunità LGBTQI al lettore attraverso l’associazione di idee.

Sono attivista per i diritti civili ormai da una decina di anni e uno dei motivi principali che mi hanno spinto a diventarlo è stata proprio la mala informazione, nonché i maldestri tentativi da parte di un certo tipo di stampa di trattare le tematiche LGBTQI.

La mia prima azione da attivista lesbica fu quella di cancellare con della vernice una scritta omo-transfobica abbastanza violenta sbombolettata in bella vista sulle mura di Città Alta a Bergamo, la mia città. Dato che con me c’erano due candidati alle comunali, la fotografia della cancellazione della scritta incriminata finì sul quotidiano online locale. Ricevemmo degli insulti pesanti. Avevo vent’anni e per fortuna, dopo anni di bullismo a scuola, avevo già le spalle grosse. Ma ricordo benissimo questo episodio e quelli successivi, quando le azioni e gli eventi di Bergamo contro l’omofobia, l’associazione che fondai nel 2009, venivano pubblicati dal suddetto quotidiano ed erano seguiti da commenti abominevoli. Forse ai tempi non andava ancora di moda parlare di “haters”, ma questo effettivamente erano le persone che commentavano: odiatori professionisti.

Immagine ripresa dalla Pagina Facebook ufficiale de L’Eco di Bergamo. Articolo: https://www.ecodibergamo.it/stories/bergamo-citta/malpensata-danneggiata-la-rotondasistemeremo-a-nostre-spese_1311048_11 (19 maggio 2019; ore 15.03).

Lessico errato, dove termini come “il transessuale” e “il viado” la fanno da padrona, ledendo la dignità delle persone transgender a cui ci si riferisce con i pronomi sbagliati. Resoconti di Pride in cui il numero dei partecipanti cala inspiegabilmente rispetto alla realtà della piazza. Articoli paternalistici che celano giudizi morali. Invisibilità delle donne lesbiche. Mancata moderazione dei commenti degli utenti. Queste sono solo alcune delle imbarazzanti strategie adottate da parte del giornalismo italiano in materia LGBTQI. Quando si tratta di Pride, per esempio, le strade sono due: o la mancata copertura dell’evento da parte di alcuni quotidiani, come accaduto lo scorso anno in occasione della prima edizione di Bergamo Pride, o la scelta ben precisa di far apparire il Pride come una pagliacciata, attraverso una minuziosa ricerca di immagini e titoli volutamente fuorvianti, che puntano a scandalizzare il pubblico.

Immagine ripresa dalla Pagina Facebook ufficiale de L’Eco di Bergamo. Articolo: https://www.ecodibergamo.it/stories/bergamo-citta/malpensata-danneggiata-la-rotondasistemeremo-a-nostre-spese_1311048_11 (19 maggio 2019; ore 15.03).

Queste strategie portano inevitabilmente alla manipolazione di informazioni e dati oggettivi per arrivare alla pancia del lettore, scatenando tutta la sua omo-lesbo-transfobia.

È quanto successo per esempio in occasione del secondo Bergamo Pride, quando un gruppo di partecipanti è salito sulla rotonda cittadina appena piantumata, danneggiandola. Nonostante il comitato organizzatore si fosse subito attribuito la responsabilità politica ed economica dell’accaduto, uno dei più noti quotidiani locali non ha esitato a cavalcare l’accaduto per gettare fango sull’organizzazione, rilanciando le parole ingiuste e cariche di odio di una candidata di destra in campagna elettorale, senza un previo passaggio di verifica con la controparte interessata.

I lettori non hanno avuto filtri e la totale mancanza di moderazione dei commenti da parte dei Social Media Manager ha consentito che venissero postati insulti molto pesanti nei confronti del comitato Bergamo Pride e dei partecipanti alla manifestazione. Possibile che sia sufficiente un danno – seppur increscioso, comunque facilmente risolvibile – all’aiuola di una rotonda per gettare discredito sull’intera comunità LGBTQI? Probabilmente il quotidiano in questione sapeva molto bene quali tasti toccare.

Immagine ripresa dalla Pagina Facebook ufficiale de L’Eco di Bergamo. Articolo: https://www.ecodibergamo.it/stories/bergamo-citta/malpensata-danneggiata-la-rotondasistemeremo-a-nostre-spese_1311048_11 (19 maggio 2019; ore 15.03).

Eppure in questa spiacevole vicenda riesco comunque a trovare un lato positivo: l’omo-transfobia di molti miei concittadini e concittadine è stata finalmente smascherata, dimostrando quanto ci sia ancora bisogno di Pride in una città come Bergamo.

E proprio nell’ambito del percorso di questo secondo Bergamo Pride, abbiamo avuto l’onore di ospitare Federica Cacciola, in arte Martina Dell’Ombra. Federica interpreta un personaggio diventato celebre sul web per aver trollato con fake news e commenti paradossali il popolo dei social. Attraverso Martina Dell’Ombra, pariolina ricca e snob, Federica ha ingannato milioni di persone con la sua satira acuta e brillante. Con lei abbiamo riflettuto sul confine labile tra realtà e finzione, presentazione oggettiva dei fatti e manipolazione delle informazioni e lo abbiamo fatto attraverso una intervista doppia.

Martina ha passato in rassegna parte degli stereotipi legati al mondo LGBTQI, interpretando il personaggio dell’italiano medio che si approccia al tema dell’omosessualità e, nel tentativo di dimostrare apertura, rivela invece la propria omo-transfobia: “Ho tanti amici gay, sei un poveraccio se non hai amici gay. Ormai gli unici che non hanno amici gay sono i gay”.

Federica, invece, ha posto al centro della sua riflessione la cultura, unico strumento in grado di farci interrogare sulla veridicità delle notizie che ogni giorno ci bombardano sui Social. Milioni di persone hanno pensato che Martina Dell’Ombra fosse un personaggio reale che desse opinioni reali, insultandola con epiteti sessisti di ogni tipo, senza chiedersi perché le sue dichiarazioni fossero così paradossali. Come lei stessa ha sottolineato, “I media si nutrono del trash” e “Non siamo più in grado di interpretare i livelli di lettura di un contenuto, per questo proliferano le fake news”. Sembra proprio che le persone si fidano ciecamente del web e di quello che leggono sui Social, senza curarsi di approfondire e controllare le informazioni ricevute.

Immagine ripresa dalla Pagina Facebook ufficiale de Bergamonews. Articolo: http://www.bergamonews.it/2019/05/20/rotonda-danneggiata-bergamo-pride-coprira-le-spese-responsabili-ci-diano-mano/309592 (20 maggio 2019; h 11.00).

Come illustrano le Linee guida per una informazione consapevole LGBT dell’UNAR: “Dai dati di una ricerca del 2012 svolta dal LaRiCa (Laboratorio di Ricerca Comunicazione Avanzata) dell’Università di Urbino emerge il ruolo crescente di Internet nella dieta informativa degli italiani. Il 50,5% usa una combinazione di fonti informative online e offline e quasi la metà (48,7%) dichiara di attingere a 5 o più mezzi di comunicazione (radio, tv locale, tv nazionale, allnews, stampa locale, stampa nazionale, internet). Gli online news consumer sono il 51,1% della popolazione, ma il 93,8% nella fascia 18-29 anni. Nel 62,7% dei casi utilizzano fino a 5 siti web diversi per informarsi, e in 1 caso su 4 ottengono informazioni attraverso amici o pagine fan in Facebook. Oltre 1 utente su 3, inoltre, contribuisce sui Social Network alla creazione di news, inserendo commenti o condividendo le notizie attraverso le proprie reti. La rete, insomma, occupa uno spazio sempre più importante nel lavoro di chi fa informazione e nell’esperienza di chi ne usufruisce.”

La comunità LGBTQI ha ancora tanta strada da fare affinché gli organi principali di informazione ne presentino un’immagine realistica, favorendo il calo delle discriminazioni.

Secondo il rapporto di Amnesty International sulle discriminazioni del 2018, infatti, il 61,3% dei cittadini tra i 18 e i 74 anni ritiene che in Italia gli omosessuali siano molto o abbastanza discriminati. D’altronde è stato oggetto di insulti e umiliazioni il 35,5% della popolazione Lgbtqi contro il 25,8% degli eterosessuali. E, in generale, il 40,3% delle persone Lgbtqi afferma di essere stato discriminato nel corso della vita, a scuola o in università e sul posto di lavoro.

In Italia, un ragazzo o una ragazza su due, tra gli 11 e i 17 anni, ha subìto episodi di bullismo. Se il bullismo non è un fenomeno nuovo, sicuramente lo è il cyberbullismo. Secondo i dati Istat, il 22% dei ragazzi italiani che utilizzano Internet e smartphone (oltre il 90%) sono derisi e umiliati in rete. Per fare un esempio: in Italia, il 55,9% si dichiara d’accordo con l’affermazione “Se gli omosessuali fossero più discreti sarebbero meglio accettati”, mentre per il 29,7% “La cosa migliore per un omosessuale è non dire agli altri di esserlo”.

Immagine ripresa dalla Pagina Facebook ufficiale de Bergamonews. Articolo: http://www.bergamonews.it/2019/05/20/rotonda-danneggiata-bergamo-pride-coprira-le-spese-responsabili-ci-diano-mano/309592 (20 maggio 2019; h 11.00).

Bergamo Pride si costituisce invece come spazio sicuro, dove parole come “discretezza” non sono accettate e chiunque può manifestare la propria identità come meglio ritiene opportuno, tutelato/a dal manifesto politico e dall’organizzazione. Relegare le persone LGBTQI all’invisibilità non le rende certamente più tollerabili, le discrimina e basta, così come chiedere loro di non fare coming out e di restare nell’ombra. Pertanto il team di comunicazione di Bergamo Pride e il comitato stesso continueranno a lavorare in questo senso, con l’obiettivo di diffondere una cultura del rispetto delle identità, promuovendo una informazione corretta che rispetti i parametri indicati da UNAR.

 

Immagine di copertina libera da qualsiasi copyright.

Immagini presenti nel testo di Pequod Rivista. Tutti i diritti riservati.

Abbattere le mura dell’odio: Bergamo Pride 2019

Articolo di Laura Liverani

Anche quest’anno ce l’abbiamo fatta. Io e gli altri membri del comitato abbiamo portato a termine l’organizzazione della seconda edizione di Bergamo Pride… E siamo incredibilmente sopravvissute/i! Migliaia di persone sono infatti scese in piazza sabato 18 maggio, colorando di arcobaleno una giornata uggiosa e reclamando a gran voce la libertà di essere e di amare. La pioggia non ha infatti fermato la marea di gente che ha pacificamente invaso le strade del centro cittadino, partendo dalla stazione fino al raggiungimento del parco Gate della Malpensata.

Orgoglio oltre le mura”, lo slogan scelto per questo secondo Pride bergamasco, ha connotato la manifestazione, caricandola di un significato simbolico oggi valido più che mai. In un’epoca di muri e confini, Bergamo Pride ha chiesto alla popolazione di attraversarli e abbatterli, in un’ottica di condivisione delle differenze di orientamento sessuale, identità di genere ed etnia. Se da una parte il muro dell’omo-transfobia e del razzismo è stato distrutto – emblematica in questo senso l’azione simbolica della cooperativa La Solidarietà di Dalmine, che ha abbattuto un muro di cartone sul palco – una cinta di mura umane è stata costruita durante il corteo finale: le persone si sono sentite protette dalla folla, si è creato uno spazio sicuro di comunità dove poter essere se stessi senza paura, dove prendere la mano del proprio ragazzo o della propria ragazza per baciarsi in libertà, come ricorda il messaggio ricevuto da Massimo, uomo gay di 58 anni che per la prima volta ha partecipato a un Pride e per la prima volta si è sentito veramente libero.

Riunitosi a partire dai primi di ottobre, il comitato Bergamo Pride ha lavorato instancabilmente per sette lunghi mesi, dando vita a un percorso culturale e informativo. Composto prevalentemente da singoli cittadini e cittadine, provenienti da diversi background, da alcuni rappresentanti del sindacato CGIL e di qualche associazione, il comitato ha avviato una riflessione improntata proprio sul senso di comunità: possiamo ritenerci soddisfatte/i dei risultati raggiunti. Rispetto all’anno scorso, abbiamo lavorato molto sull’unità interna del comitato, cercando di fare coesistere voci e necessità diverse, evitando personalismi e protagonismi e cooperando per un unico scopo. L’amministrazione comunale ha contribuito alla buona uscita dell’evento, mettendo a disposizione le proprie forze e sostenendo la realizzazione di Bergamo Pride.

Tuttavia il percorso da fare è ancora molto lungo, dal momento che è bastato il parziale danneggiamento dell’aiuola decorativa di una rotonda, calpestata da un gruppo di persone noncuranti delle conseguenze che il loro gesto avrebbe avuto sull’organizzazione, per dare sfogo a commenti violenti e senza filtri di centinaia di lettori dei quotidiani locali, nonostante l’organizzazione stessa si fosse già scusata, attribuendosi la responsabilità politica ed economica dell’accaduto. A dimostrazione del fatto che i Pride sono sempre più necessari e sono in grado di smascherare l’omo-transfobia e l’odio che si nascondono dietro a frasi fatte come “io non ho niente contro i gay, ma…”. Abbiamo appurato qual è la vera natura di molti dei nostri concittadini/e; lavoreremo ancora più duramente per costruire un’alternativa all’odio.

Fortunatamente le testimonianze che ho ascoltato alla partenza e all’arrivo del corteo, nonché i commenti positivi che ho ricevuto, parlavano tutta un’altra lingua. Ho visto in manifestazione alcune mie studentesse, con le quali avevo affrontato l’argomento e che a un Pride non erano mai state. Una di loro si è aperta, dicendomi che si è sentita al sicuro, perché avendo subito discriminazioni per il colore della sua pelle sapeva cosa significava sentirsi sbagliati e avere paura. Era la prima volta che parlava di quanto le era successo. Ho anche intravisto una collega, in prima fila a ballare sotto la pioggia, e mi ha fatto molto piacere: il mio ambiente lavorativo continua a spaventarmi molto e non sono dichiarata con tutti/e. Ho visto i miei amici e le mie amiche eterosessuali, i cosiddetti “alleati”, sfilare per i miei diritti e condividere la mia battaglia. Ho incontrato mia madre e non ho resistito: le lacrime sono scese copiose quando l’ho abbracciata.

Anche quest’anno raccolgo i frutti di questo bellissimo e faticosissimo Pride e mi porto a casa un’altra esperienza altamente formativa in vista di una possibile terza edizione. Concludo facendo mie le parole dell’attivista Angela Davis, quando afferma: “Non accetterò più le cose che non posso cambiare. Cambierò le cose che non posso accettare.”

In attesa di ricaricare le batterie e fare un bilancio collettivo di questo Bergamo Pride, vi aspettiamo il 24 maggio alla Biblioteca Gavazzeni di Città Alta per parlare di esperienze di coming out, conflitti, amori e identità in compagnia del Circolo dei narratori di Bergamo e il 14 luglio al Punk Rock Raduno presso Edoné per l’attesa estrazione dei premi della lotteria di autofinanziamento di Bergamo Pride.

Fotografie di Francesca Gabbiadini. Tutti i diritti riservati.

L’orgoglio delle differenze

Avete mai partecipato a un Pride?

Ricordo il mio primo Pride, ero a Genova ed era il 2009. Ricordo che, raggiunto il concentramento, mi trovai circondata da migliaia di volti e di corpi. Vidi Don Andrea Gallo a bordo del carro della sua comunità di San Benedetto al Porto, attorniato da tutte le sue magnifiche trans salvate dalla strada. Ricordo l’abbondanza e i colori di alcune di loro, la trattenuta semplicità ed eleganza di altre. Per la prima volta realizzai di trovarmi in mezzo alla differenza, alle differenze.

Solo camminando fianco a fianco di queste persone ho capito negli anni quanto un Pride possa effettivamente educare alle differenze, insegnandoti ad apprezzarle e a farle diventare parte di te. Condividere i propri passi con emeriti/e sconosciuti/e che camminano al tuo fianco per i tuoi stessi motivi è qualcosa di altamente formativo, che non impari sui libri di scuola. Il Pride è la celebrazione stessa delle differenze, una manifestazione che accoglie ogni identità e sospende il giudizio, perché è casa di tutti/e.

Lo striscione “Educare alle differenze” durante il corteo di RompiamoIlSilenzio Bergamo (foto di RompiamoIlSilenzio, Tutti i Diritti Riservati).

Ho sempre ritenuto che i miei genitori fossero delle persone progressiste e sufficientemente flessibili. Eppure quando si parlava di Pride non perdevano mai l’occasione di definirlo una buffonata, un carnevale osceno che danneggiava soltanto l’immagine delle persone LGBTQI. Per anni ho provato a convincerli del contrario, cercando di mostrargli un’altra realtà, non certo quella trasmessa dalla televisione. Eppure il loro pensiero è cambiato soltanto l’anno scorso in occasione del primo Bergamo Pride. Condividendo con loro le gioie e le frustrazioni dell’organizzazione della manifestazione, hanno iniziato a rendersi conto che il Pride era qualcosa di più. Finché, con mia grande commozione e sorpresa, non sono scesi in piazza lo scorso 19 maggio, altrettanto commossi. Era il loro primo Pride ed erano orgogliosi di me, di quello che avevo contribuito a realizzare. E così molti altri genitori, fratelli e sorelle, amici e parenti, colleghi/e e compagni/e di scuola dei miei amici e delle mie amiche attivisti/e. Ricordo che l’intera famiglia di Stefano, amico attivista, camminò al nostro fianco, accompagnandolo con emozione.

Sono convinta che i miei genitori, come la famiglia di Stefano e molte altre persone, siano tornati a casa con qualcosa in più, una ricchezza mai sperimentata prima. Qualcosa che va oltre ai pregiudizi e si trasforma in esperienza diretta del mondo LGBTQI.

Manifestanti con il volto coperto per protesta durante il corteo di RompiamoIlSilenzio Bergamo (foto di RompiamoIlSilenzio, Tutti i Diritti Riservati).

Ma l’educazione alle differenze ha assunto anche un ruolo più istituzionale nell’ambito di Bergamo Pride 2018, quando abbiamo organizzato un convegno proprio su questo tema. Abbiamo coinvolto il forum nazionale di Educare alle differenze, l’associazione culturale Immaginare Orlando e altre realtà territoriali che si occupano di educazione alle differenze per condividere buone prassi e esperienze. Da questo incontro è emersa la necessità, da parte di formatori/trici, studenti e docenti, di trattare l’inclusione e la prevenzione del bullismo attraverso l’intervento nelle scuole, reso però sempre più difficoltoso dai sostenitori dello spauracchio “gender”.

Educare al rispetto delle persone, al superamento dei pregiudizi di genere, alla inclusività, all’anti-razzismo e alla non-discriminazione viene infatti strumentalmente letto da qualcuno come “un incentivo al transessualismo” – come se la transessualità si potesse insegnare o trasmettere! -, come ci ricorda il recente attacco mediatico da parte di due parlamentari leghisti al progetto di educazione alle differenze portato avanti da Immaginare Orlando e dalla Cooperativa Impresa Sociale HG80 in collaborazione con il Comune di Bergamo.

Pregiudizi come questi, che diventano sempre più istituzionalizzati, non fanno altro che ostacolare il raggiungimento della piena consapevolezza e del rispetto di sé e dell’altro/a. Così facendo, proprio le famiglie che si vorrebbero “proteggere” vengono lasciate sempre più sole ad affrontare i bisogni dei loro figli e delle loro figlie, lasciati/e in balia della convinzione che se sei femmina certe cose non le puoi fare perché sono ad appannaggio esclusivamente maschile e viceversa, o che sia giusto nascondere e negare la tua omosessualità o il tuo transgenderismo  perché è qualcosa di cui ti devi vergognare. O, ancora, che sia giusto molestare o stuprare una donna perché indossa una minigonna. O picchiarla fino a farla abortire perché sono un compagno o un marito geloso

Lo striscione di Non Una Di Meno durante la manifestazione di Bergamo Pride 2018 (foto di Bergamo Pride, Tutti i Diritti Riservati).

Bergamo Pride 2019 – Orgoglio oltre le mura continuerà il percorso di educazione alle differenze avviato l’anno scorso, proponendosi come punto di riferimento per la libera espressione di identità e diversità. Il corteo finale del 18 maggio si costituirà infatti come spazio sicuro entro il quale poter manifestare liberamente chi siamo ed entrare in contatto con la cittadinanza.

A questo proposito, organizzeremo in collaborazione con il Cinema Capitol la proiezione di Boy Erased, prevista per il 14 marzo, film basato sulla storia vera di Garrard Conley, diciannovenne costretto dai genitori a seguire una terapia di conversione dall’omosessualità dopo aver fatto coming-out.

Il comitato aderirà e parteciperà inoltre alla manifestazione contro la violenza di genere indetta da Non una di meno che si terrà a Bergamo l’8 marzo e proseguirà il proprio lavoro di ricerca nell’ambito della due giorni letteraria in programma per aprile, occasione in cui ci confronteremo con autori, autrici, attori, attrici e attiviste sul tema delle differenze.

Quando ho visto diecimila persone ballare al Pride

Il piazzale della Malpensata si staglia dritto davanti a me. Il battito cardiaco accelera all’improvviso. Manca poco all’orario di inizio del concentramento del primo Pride della città di Bergamo. Nel parcheggio solo auto e agenti in divisa. Un unico pensiero: lo abbiamo fatto davvero.

Sono Laura, ho 30 anni e sono un’attivista LGBTQI bergamasca dal 2009. Di omo-transfobia avevo letto solo sui libri, ma quando le notizie di aggressioni ai danni di persone gay, lesbiche e transgender iniziarono a fare il giro dei quotidiani nazionali e delle reti televisive, decisi che i libri non bastavano più.

Il 2009 fu un anno emblematico in questo senso. In numerose città italiane sorsero dei comitati che organizzavano manifestazioni di solidarietà e protesta: la comunità LGBTQI si stava mobilitando, alimentata da una nuova forza e da un nuovo senso di coesione. Nacque così Bergamo contro l’omofobia, dapprima comitato fondato da due sparute ragazzine, Laura ed Elisa, poi associazione di promozione sociale che contava quasi un centinaio di iscritti.

Il corteo del Bergamo Pride 2018 (foto di Camilla Giubileo, Tutti i Diritti Riservati).

Allora non capivo cosa ci spingesse a soli 20 e 18 anni a dedicare giornate intere alla costruzione di sit-in, eventi,  raccolte fondi per autofinanziare le nostre attività e incontri di sensibilizzazione nelle scuole. Ricordo solo che rinunciavo persino allo studio, osservando i miei esami universitari naufragare: Bergamo contro l’omofobia era sempre più importante di qualsiasi altra cosa dovessi o avessi in programma di fare.

Questa dedizione non comportò soltanto dei sacrifici, ma fu anche ripagata da grandi soddisfazioni. Riuscimmo infatti a presentare una nostra piccola mostra di baci al Parlamento Europeo di Strasburgo. E, cosa più importante, i giovani gay e le giovani lesbiche di Bergamo ci contattavano per chiederci consigli, per capire come accettarsi e farsi accettare dai loro cari, per entrare nelle loro scuole e confrontarci con i loro coetanei. Stavamo diventando un piccolo punto di riferimento.

Dopo otto lunghi e intensi anni come presidente di Bergamo contro l’omofobia prima e socia volontaria dopo, ho deciso che il mio percorso in quella associazione era terminato e ho scelto di dedicare tutte le mie energie alla costruzione del primo Pride della città di Bergamo. Era giunto il momento di sondare se il cambiamento su cui avevamo lavorato per anni era effettivamente arrivato. E la risposta a questa domanda sono state le diecimila persone scese in piazza lo scorso 19 maggio. Bergamo era finalmente pronta.

Tra quelle diecimila persone, però, c’era solo una piccola manciata di attivisti/e che hanno potuto vivere sulla propria pelle l’incredibile difficoltà dell’organizzare un evento di tale portata.

Quando fai attivismo, la frustrazione è uno degli effetti collaterali che devi sempre tenere in considerazione. A volte le difficoltà sembrano insormontabili e la scarsa risposta di pubblico è demotivante. Essere attivista implica mettersi in discussione costantemente, scontrarsi con l’ostilità esterna, mettere a rischio le proprie relazioni personali e sperimentare un forte senso di solitudine. Riunioni infinite, notti in bianco, concitazione e ansia, la paura di sbagliare e quella di non fare mai abbastanza contribuiscono a darti un senso di impotenza. Pensateci: non è facile incassare un no dalle istituzioni, essere ricoperti di insulti da un esercente omofobo o essere descritti/e come depravati da parlamentari, senatori della Repubblica, politici, interi partiti o movimenti che addirittura scelgono di manifestare apertamente contro la tua libertà o di organizzare veglie di preghiera contro il Pride. Ma forse tutto sommato è proprio l’ingiustizia il motore che spinge ad andare avanti. Se non ci fosse la necessità di contrapporsi a una ingiustizia, non ci sarebbe bisogno di attivismo.

Il corteo del Bergamo Pride 2018 (foto di Cristian Bonanomi, Tutti i Diritti Riservati).

Sono convinta che l’attivismo sia qualcosa che hai nel sangue, che si traduce in una motivazione talmente forte che ti spinge a superare la frustrazione di non essere invincibile, perché l’obiettivo è collettivo, non personale, e per questo è più grande persino delle tue paure. Essere a bordo del carro di Bergamo Pride l’anno scorso e spiare da dietro le quinte la folla di gente sotto di me che ballava, rideva, si divertiva e vestiva la propria identità con orgoglio e alla luce del sole è stata una emozione unica che mi ha ripagato di tutto il tempo speso a chiedermi che senso avesse quello che stavo tentando di fare.

Perché in fondo di questo si tratta: tentativi. Non custodisci la formula perfetta o la soluzione a tutti i mali, procedi per tentativi, alcuni dei quali vanno a vuoto. E questo è l’attivismo per me: un tentativo costante di mettere in atto pratiche di libertà che non si esauriscono in un evento, ma che al contrario trovano sempre più vie di intersezione, in quanto la sistematicità dell’oppressione si reitera e si estende a tutte le categorie discriminate, dalle persone LGBTQI ai migranti, passando per le donne e via dicendo. Come scrive l’attivista Angela Davis, l’importanza di fare attivismo sta nell’effetto, più che nei risultati. Le mobilitazioni hanno infatti insegnato agli individui a unirsi, a risolvere problemi attraverso la solidarietà e la condivisione delle lotte. Hanno insegnato il valore di essere movimento. E questo, a parer mio, deve fare un/una attivista oggi: risvegliare il senso di responsabilità collettiva che sta alla base di ogni comunità.

Insisterò quindi a tentare anche in vista di Bergamo Pride 2019 – Orgoglio oltre le mura, cercando di trasformare questi valori in impegno concreto, continuando a essere volontaria all’interno del comitato organizzatore e continuando a essere, semplicemente, attivista, per poter vedere altre diecimila e forse più persone ballare sotto il carro del Pride del prossimo 18 maggio.

In copertina: il corteo del Bergamo Pride 2018 (foto di Camilla Giubileo, tutti i diritti riservati).

Come si organizza il primo Bergamo Pride?

Il primo Bergamo Pride della storia si avvicina e noi siamo trepidanti: ma cosa c’è dietro al corteo del prossimo 19 maggio? Chi lo organizza e come? Pequod l’ha chiesto a Martina, che fa parte del comitato Giù la maschera.

Quando avete iniziato a sentire il bisogno di organizzare un Pride e perché?

Il bisogno c’è più o meno da quando è stato fatto lo “Svegliati Italiaper la legge Cirinnà sulle unioni civili. La manifestazione è stata bellissima, poi però l’entusiasmo è andato scemando, anche perché non ci sono stati casi eclatanti di omofobia. Circa un annetto fa invece, con il caso del Secco Suardo (sul cui giornalino scolastico è stato pubblicato un articolo di posizione omofoba, ndr) ci siamo resi conto che la città aveva bisogno di un evento come il Pride.

Quali sono state le varie fasi dell’organizzazione del Pride?

Le fasi sono state molte, complesse e impegnative. Dai mesi di agosto e settembre scorsi, si sono seduti ad un tavolo il comitato “Giù la maschera” (composto dall’associazione Bergamo contro l’omofobia, dall’ex Arcilesbica Bergamo – ora Lesbiche XX Bergamo, ndr – e da qualcuno di Rompiamo il silenzio) e il comitato “Educare le differenze per combattere l’odio” composto principalmente da Arcigay. Di entrambi i comitati fanno poi parte anche amici, liberi pensatori, altri cittadini in qualche modo legati alla causa.

In seguito, incomprensioni tra associazioni e modi diversi di intendere il Pride, secondo un pensiero più rivoluzionario o più pacato, hanno portato alla fuoriuscita di Arcigay dal tavolo organizzativo. Siamo andati avanti senza di loro, tra riunioni, preventivi, telefonate e ricerca di sponsor. A gennaio ci sono state difficoltà perché Arcigay aveva deciso una data per il Pride, anche se non faceva più parte dello stesso tavolo organizzativo: avere il patrocinio per due Pride sarebbe stato però impossibile, quindi tra alti e bassi alla fine siamo riusciti ad accordarci su una data unica. Non ci interessa metterci la firma, l’importante è che la città si renda conto dei bisogni che hanno i suoi cittadini.  

L’organizzazione richiede un sacco di tempo e forze, ma vedere l’affluenza di persone ai primi eventi o i passanti sorridere quando notano l’adesivo del Pride sulle vetrine dei negozi, ci ha fornito la carica necessaria.

Perché un Pride a Bergamo? Nessuno aveva mai provato a organizzarlo prima? Se sì, come mai non è stato portato a buon fine?

Tra gli anni Ottanta e Novanta c’era stata una sorta di piccolo Pride, che aveva avuto poco successo. In seguito è mancata l’idea in sé di Pride e ci si è focalizzati sugli interventi nelle scuole e sugli incontri, piuttosto che sul corteo. Abbiamo però sentito la necessità di scendere in strada e farci sentire, togliendoci la maschera. “Giù la maschera” nasce infatti per unire I seguenti punti: siamo colorati, siamo di Bergamo, vogliamo vivere liberamente. Arlecchino è di Bergamo, è colorato, porta una maschera nera. E allora giù la maschera, perchè io voglio essere libero di camminare mano nella mano con chi voglio, di baciare il mio partner in pubblico senza essere insultato, di parlare della mia compagna o del mio compagno senza cambiare la vocale alla fine della parola per non sentirmi a disagio. Abbiamo già molte maschere nella vita di ogni giorno, di questa ne possiamo fare e meno e ce la togliamo in piazza, facendo una piccola rivoluzione nella provinciale e bigotta Bergamo.

Ci sono state difficoltà prettamente “bergamasche”? Forse in qualche altra città sarebbe stato più facile organizzarlo?

Solo a livello logistico l’impossibilità di fare il Pride a giugno, quando la città sarà blindata per l’arrivo della salma del Papa. Nonostante le difficoltà di una piccola città abbiamo trovato supporto: ci aspettavamo più chiusura e diffidenza. Durante il nostro giro tra i negozi, i proprietari di alcuni di essi si sono rifiutati di attaccare il nostro adesivo, ma quasi sempre con gentilezza. Le difficoltà sono nate nei pochi casi in cui ci hanno risposto male, dandoci addirittura dei “maiali”, ma abbiamo anche ricevuto donazioni da gente da cui proprio non ce lo saremmo mai aspettati.

Come è andata la promozione e quali sono state le reazioni?

Abbiamo utilizzato moltissimo i social network, ma la promozione più riuscita è stata quella del passaparola. Siamo andati direttamente dalle persone a spiegare perché è importante per noi il Pride: finché non ci si mette la faccia non si fa davvero la differenza. Andare nei Comuni dei vari paesi a fare una chiacchierata per ottenere il patrocinio porta molte più risposte positive che inviare mail, anche se richiede più tempo.  

Da febbraio inoltre abbiamo iniziato a organizzare serate, ad esempio l’aperitivo con la stilista e attivista indiana Divya Dureja che ci ha raccontato come i partecipanti del Pride di Delhi si coprano con mascherine di carta perché, se vengono riconosciuti, dopo il corteo rischiano letteralmente delle sassate. Abbiamo organizzato conferenze, come quella con Massimiliano Frassi dell’associazione Prometeo per la lotta alla pedofilia, e anche una lotteria con premi offerti dai commercianti. Avremmo potuto fare di più sicuramente, ma nonostante la grande quantità di tempo impiegato è stato importante per noi parlare faccia a faccia con le persone, da cui abbiamo ricevuto grande sostegno.

Il percorso del Bergamo Pride del 19 maggio.

Qual è stato l’evento più riuscito durante la promozione?

Secondo me l’aperitivo al Dolcevita, dove è stato presentato un libro per ragazzi dell’autrice Francesca Bonelli Morescalchi, intitolato “Siamo tutti arcobaleni”. All’evento ha partecipato davvero tanta gente, anche famiglie con bambini, e si è creato un ambiente bellissimo.

Cosa è fondamentale per la buona riuscita di un Pride?

Il concetto di Pride come spazio sicuro: al corteo parteciperanno drag queen, persone con vestiti ordinari, persone più o meno svestite o con vestiti particolari e vistosi, perché è il momento in cui ognuno ha il diritto di mostrarsi come vuole, nel limite minimo della decenza. Questo diritto va rispettato, perciò, se si vuole fare una foto si chiede il permesso, se un tentativo di approccio viene rifiutato bisogna accettarlo, la città va mantenuta pulita. È importante mantenere l’allegria, ma la festa non deve essere scevra di contenuti. Noi dell’organizzazione invitiamo a segnalare qualsiasi situazione che potrebbe creare problemi. Insomma, al pride ci divertiremo, saremo favolosi, ma con responsabilità.

Bergamo Pride si fermerà dopo il 19 maggio o…?

A giugno abbiamo ancora qualche serata organizzata, e speriamo che l’eco del corteo le renda ancora più frequentate di quelle precedenti. Per l’estate ci prenderemo una pausa e a settembre i comitati si riuniranno per tirare le somme e farsi domande riguardo al prossimo anno. È un periodo di cambiamenti per le associazioni e vedremo a cosa porterà. Nel frattempo, cosa avremo fatto alla città? Sicuramente del bene.

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