Skip to main content

La ricerca italiana mette radici in Svizzera

Come se la passa un ricercatore italiano all’estero? Questa settimana Pequod intervista Chiara, ricercatrice di trent’anni che tra i boschi e nelle città della Svizzera ha trovato il cambiamento.

Dopo il liceo classico è stata la volta della Facoltà di Agraria presso l’Università Statale di Milano «perché non di solo latinorum vive l’uomo». Durante il dottorato, sempre a Milano, sul ruolo delle foreste nella prevenzione di fenomeni di dissesto idrogeologico, la giovane dottoranda si recò in una Fachhochschule (Università di scienze “applicate”) a Berna scoprendo che, per gli svizzeri, i boschi e le frane «sono una cosa seria».

CAM00016

«Tornata a Milano, un’amica mi ha girato quasi per caso un bando per post doc a Davos, ho provato a partecipare e inspiegabilmente mi hanno preso. Ho accettato un po’ perché volevo mettermi alla prova: dopo otto anni a Milano tra università e dottorato, era tempo di cambiamento. In più il progetto era interessante, lo stipendio pure! Anche se la Svizzera è cara, come post doc sei pagato davvero tanto. Inoltre sulle tematiche su cui lavoro io c’è tantissima sensibilità e tantissimi investimenti, si fa una ricerca a stretto contatto con le esigenze della comunità e di chi in bosco ci lavora, e questo è davvero bello. Anche qui si va avanti di contratto precario in contratto precario, ma ci sono molte più opportunità di finanziamento rispetto all’Italia. Adesso sono di nuovo a Berna».

1372252559272

Le difficoltà più grandi sono state quelle dell’ambientarsi al nuovo paese ospite: l’alimentazione  « I formaggi svizzeri sono una bufala, non sono così buoni!» e l’entrare in contatto con un idioma de tutto nuovo. «E poi tutto il resto, cioè gli amici, il solito bar, la ciclostazione, le Prealpi Orobiche, la nonna… Le cose che ti mancano quando sei via. Più che avere voglia di partire ero terrorizzata perché io di base sono una pantofolaia e non una giovane dinamica  – come sembra “obbligatorio” essere oggi – però ora sono contenta di averlo fatto. Voglia di tornare adesso ne ho, ma non a tutti i costi: vorrei poter continuare a fare il lavoro che mi piace».

IMG_4037

A questo punto mi è sembrato inevitabile chiedere a Chiara quale sia il suo pensiero riguardo i famigerati “cervelli in fuga” dei ricercatori italiani all’estero. «Odio la definizione “cervelli in fuga”. La gente va in cerca di opportunità:  puoi chiamarci anche “piedi in fuga”, come ti pare. Da sempre la gente si sposta, ognuno coi suoi motivi e se sei nato in Europa è facile farlo. Nella ricerca poi fare un’esperienza di qualche anno all’estero, poi c’è chi si trova così bene che si ferma! Detto questo, al di là dei casi e delle motivazioni personali, la situazione della ricerca in Italia è un disastro. La Gelmini ha ucciso l’università pubblica e i suoi successori non stanno migliorando la situazione insabbiando il vero problema: taglio drastico dei finanziamenti, il blocco del turn over e del reclutamento e il precariato. Per chi lavora nella ricerca e si confronta tutti i giorni con i problemi reali è davvero frustrante».

Al momento Chiara e il suo compagno sono in “fase meditativa”. Le piacerebbe rientrare definitivamente nella bergamasca, magari tra un paio di anni. L’obbiettivo rimane quello di incastrare i desideri lavorativi con la vita quotidiana e la novità del diventare mamma «sto provando a proporre qualche progetto di collaborazione tra la Svizzera e il contesto milanese, se son rose fioriranno!»

 

Berna, Davos, featured, frane, natalità, Natalità1, radici, svizzera, Università Statale di Milano


Sara Alberti

Nata sulle colline bergamasche nel 1989, percuoto dall’età di otto anni, quando ho iniziato a studiare batteria e percussioni da orchestra nel Corpo Musicale Pietro Pelliccioli di Ranica (W la banda!). Dopo essermi barcamenata tra le varie arti, la Musica ha avuto la meglio e mi è valsa una laurea in Musicologia. Profondamente affascinata dal vecchio e dall’antico, continuo a danzare e suonare nella Compagnia per la ricerca e le tradizioni popolari “Gli Zanni” e per il mio grande amore balcanico Caravan Orkestar. Su questa nave di pirati sono la responsabile della sezione Nuove Premesse, della cambusa e della rubrica musicale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.