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Volontariato, Africa e Amore

Lasciare casa propria per aiutare gli altri: una decisione coraggiosa, soprattutto quando per realizzarla è necessario confrontarsi con consuetudini e stili di vita di un paese lontano, dove si vivono situazioni di povertà a cui bisogna adattarsi, privandosi delle comodità anche più scontate e banali a cui si è abituati.

Pequod ha fatto qualche domanda a Floriana, che ha vissuto un’esperienza di volontariato in Ghana e precisamente a Dodowa, piccolo paese vicino alla capitale Accra.

Perché hai deciso di fare volontariato all’estero?

Un anno fa, a gennaio, mi sono svegliata e mi sono detta «voglio andare in Ghana!». Non so bene nemmeno io perché; è stata una decisione improvvisa. Ho contattato un amico che era stato in Africa per farmi dare qualche consiglio, poi l’associazione italiana Soho. Mi sono affidata a loro perché è l’unica realtà che conosco che opera senza far pagare un prezzo totale per l’esperienza, ma fornisce le istruzioni necessarie e le indicazioni sui vaccini, per poi lasciare che i volontari si gestiscano in autonomia per l’acquisto dei biglietti aerei. Nel giro di una settimana li avevo già comprati! Sono partita ad agosto, per andare a fare volontariato in un orfanotrofio che ospita 250 bambini, e sono ritornata anche a novembre, dopo aver fatto una raccolta fondi grazie alla quale ho comprato cibo, acqua e vestiti per i bambini; ho pagato per mandarli a scuola e fornirgli cure mediche.

Come era la tua giornata tipo?

Ad agosto i bambini non andavano a scuola, al mattino li aiutavo a fare il bagno: in sostanza dovevo prendere dell’acqua dal pozzo con un secchio, e utilizzando una tazza da tè lavarli, mentre loro si insaponavano con delle spugne speciali. Poi mangiavano, studiavano e giocavano. Spesso si ammalavano, soprattutto di malaria, e allora bisognava portarli in ospedale.

A novembre invece i più grandi andavano a scuola, mentre i piccoli facevano lezione nell’orfanotrofio. A volte, per carenza di insegnanti facevo lezione di inglese, francese o matematica. Poi si mangiava, si tornava a lezione e infine si faceva il bagno e si lavavano i vestiti in grosse bacinelle, con la pietra di sapone. Alla sera distribuivo le medicine. Quasi sempre, capitava l’imprevisto: molti dei bambini soffrono di reumatismi, si ammalano di malaria, o semplicemente bevono acqua non potabile e si sentono male.

Hai avuto una preparazione personale o professionale prima di partire?

No, la prima volta non avevo idea di cosa mi aspettasse. Alloggiavo in una casa di volontari, luogo che definirei fatiscente, ma che è diventato il mio posto preferito sull’intero pianeta. È una piccola casetta con due stanze, in ognuna delle quali ci sono letti a castello per 6 persone; non c’è acqua corrente e l’energia scarseggia. Un bidone fa da cisterna per l’acqua, e la doccia consiste in una porta di legno dietro cui ci si lava con un secchio d’acqua. Il secchio d’acqua si utilizza anche dopo aver usato il bagno.

Per telefono prima di partire avevo parlato con Mamma Valeria, che si occupa dei volontari in Italia, e mi aveva dato indicazioni su vaccini e malattie, raccomandazioni circa l’utilizzo dello spray repellente anti malaria e suggerito di tenere la bocca chiusa sotto la doccia per evitare i pericoli dell’acqua non potabile. Mamma Valeria mi ha dato tutte queste informazioni ma in maniera molto distaccata per non influenzare la mia idea sull’Africa.

Ma tutto ciò non ti ha fatto vivere l’esperienza con un po’ di ansia?

No, non ho mai avuto ansia, anzi, sono stata avvertita di non avere troppo contatto con i bambini per via di malattie o infezioni, ma io li baciavo e coccolavo! In Africa vivo come vivono loro: cammino scalza, mangio con le mani e non ho il minimo timore! Se dovessi beccarmi un’infezione, so che poi guarirebbe.

Qual è stata la parte più dura dell’esperienza e cosa ti ha dato più soddisfazione?

La situazione più dura da vivere è quando i bambini si ammalano, perché ci si sente male quando soffrono, si vorrebbe fare qualcosa ma non si può. Questa è a livello generale una delle cose brutte dell’Africa: voler fare tanto, cercare di garantire un futuro, ma non poterlo fare. Ci sono certe abitudini e tradizioni che non si possono cambiare e ti fanno sentire impotente: puoi solo dare soldi e affetto. Anche se paghi la scuola a un bambino, il suo livello di istruzione sarà sempre basso perché la scuola non va bene, ma chi è al comando per qualche assurda ragione non ti permette di mandarlo nella scuola migliore. Voler cambiare le cose e non poterlo fare è frustrante: ho la sensazione che l’Africa si sia rassegnata al fatto che la situazione non migliorerà.

La cosa più bella in assoluto invece sono i bambini: lasciano un segno che non si racconta. Quando faccio loro dei regali, sia materiali che no, soddisfacendo i loro desideri, fanno i salti dalla gioia. E nei momenti in cui sono davvero felici io mi sento piena dentro, viva. Quando mi scrivono che gli manco e aspettano il mio ritorno, mi commuovo. Ho intenzione di ritornare da loro ogni 4 o 5 mesi.

Nessuno ti ha mai chiesto: «Perché non aiuti in Italia invece di andare in Africa?»

Vado in Africa perché ormai ce l’ho nel cuore e sono molto affezionata ai bambini, ma quando ho potuto, ho sempre aiutato anche in Italia e anche a Londra, dove vivo ora, mi sono iscritta a un’associazione di volontariato. Credo che il volontariato sia una vocazione, se ce l’hai in Africa ce l’hai in qualsiasi parte del mondo.

Che consiglio daresti a qualcuno che volesse fare la tua stessa esperienza?

L’Africa la suggerisco a chiunque ma il consiglio è di vivere come le persone locali. Una volta nella vita, tutti dovrebbero provare per capire e arricchirsi. L’approccio alla vita è diverso quando il secchio d’acqua deve durare per quattro docce e un boccone di riso va diviso: impari a evitare sprechi, a non lamentarti. L’Africa si poggia sul pilastro della condivisione, “sharing is caring” e anche se il cibo è poco si condivide. I bambini tra di loro si spartiscono il cibo e gli oggetti che regalo e si prendono cura di me: quando un bambino ti imbocca, anche se ha le mani sporche, non si può rifiutare!

 

Tutte le fotografie sono state gentilmente condivise dall’intervistata, tutti i diritti sono riservati.

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