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Arlecchino part-time

≪Arlecchino era un mezzo diavolo, ha a che fare coi sogni, quelli che ritrovi in certe persone≫

   Intervista a Paolo Rossi – Andrea Pocosgnich

 

Nella settimana del carnevale non si può non pensare alla figura di Arlecchino, prima espressione del mascheramento, con la sua tunica di pezze colorate e la maschera demoniaca.

Egli nella Commedia dell’Arte è uno Zanni (antica maschera bergamasca) un servo, buffo ma soprattutto furbo, in grado di mandare avanti l’azione improvvisando e rinnovandosi di volta in volta, nella Commedia dell’Arte come nella vita.

Oggi l’Arlecchino, furbo e benevolo, è tornato all’attualità, non solo per l’impresa dei grandi registi contemporanei di rimettere in scena il teatro delle maschere, quanto più come riflesso di un atteggiamento sociale.

Gli Arlecchini nel 2016, sono quelli che tentano di capire come difendersi da una situazione economica, sociale e civile; tanto difficile da non permette di intravedere soluzioni o vie d’uscita. Con prontezza e scaltrezza, giovani e meno giovani, si reinventano per adattarsi e sopravvivere in un mondo in cui il problema principale oltre alla crisi economica è il cibo e la mancanza di materie prime, una società tanto malata che nonostante ciò non sa vedere oltre i concetti di guadagno, successo e visibilità; ma fortunatamente ci sono gli Arlecchini che tentano il confronto e cercano di fare discorsi intelligenti, per smuovere una coscienza critica reincarnandola nella satira.

È questa la situazione dei tanti migranti sociali, intesi non solo come quelli che lasciano la terra natia alla ricerca di nuove vie, ma anche di quelli che per andare avanti cambiano lavoro ogni mese, si mettono nelle mani delle agenzie interinali, sfruttano ogni occasione e non si lasciano abbattere; è la società dei freelance, collaboratori esterni, di quelli con la partita iva, compenti e capaci; che saranno la svolta per una civiltà che guarda al cambiamento.

 

Cercami con le tue passioni, SparkMe

In un mondo sempre più social le novità non mancano di certo e SparkMe (link) ne è la prova. App che consente di conoscere nuove persone condividendo interessi comuni, è disponibile sull’ app store dal 15 giugno scorso. In questa settimana dedicata al Carnevale e al migrante sociale, Pequod ha scovato questa chicca che al meglio rappresenta il cambiamento nell’approcciarsi all’altro. Trovare e contattare ad ogni costo qualcuno che condivida le stesse passioni in un grande contesto cittadino (che forse, ancora spaventa un poco).

L’ideatore, insieme ad un gruppo di suoi coetanei, è Marsel Nikaj, giovane universitario di 23 anni nato in Albania e cresciuto a Varese. «Questa applicazione si focalizza sul social dating abbattendone il puro aspetto superficiale e mettendo in contatto le persone per affinità di interessi», spiega Marsel.

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La prima realise è stata rilasciata su piattaforme IOS ed è scaricabile gratuitamente dall’ app store del proprio Iphone. Il suo funzionamento è molto semplice: una volta creato il nostro account andremo ad impostare la nostra immagine del profilo e sei immagini opzionali che diano un’idea dei nostri interessi. Il passo finale consiste nello scegliere tre passioni selezionabili tra 104 disponibili divise in sei macro-categorie e tre luoghi preferiti, ciascuno accompagnato da un’immagine e da una breve descrizione. Dopo di che SparkMe suggerirà all’utente persone affini e che sono geograficamente vicine, mentre con il tasto “Esplora” permetterà di poter visualizzare i profili di tutte le persone con cui poter entrare in contatto ed aumentare il numero dei propri “Sparkers” utilizzando il tasto “Spark”. Infine si potrà inviare una richiesta di amicizia che, una volta confermata, permetterà di chattare. Ma le novità non finiscono qui e secondo il giovane ideatore: «in futuro sarà possibile creare dei gruppi personalizzati che si basano esclusivamente sui propri interessi in modo da poter connettere ancora meglio le persone che utilizzano l’app».

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Ma come mai un ragazzo così giovane ha pensato a dar vita ad un’idea così innovativa? «Tutto è nato circa un anno fa: stavo bevendo un caffè con un mio caro amico ed entrambi riflettevamo sul mondo del social dating, su come molto spesso questo mondo si basi quasi esclusivamente sui flirt. Così mi sono detto: perché non creare un qualcosa che permetta di incontrare nuove persone grazie a ciò che l’accomuna e condivide? Da qui è partito il progetto SparkMe!». Progetto che vede alla base un’idea di fondo: «il mio desiderio sarebbe quello di poter lasciare un segno, un qualcosa che attesti che il nostro passaggio non sia inutile» e sicuramente SparkMe è un buon punto di partenza per realizzare questo desiderio.

SparkMe (link facebook) può rappresentare una svolta nel mondo dei social dating. Anzi, forse è proprio la svolta di quel mondo. Non più una chat fine a se stessa ma una chat che può portare ad un qualcosa di piacevole e anche di costruttivo, perché coltivare le proprie passioni è, probabilmente, ciò che ci permette di realizzarci meglio e quindi perché non farlo insieme ad altre persone che condividono i nostri stessi interessi?

Darsi alla macchia e fiorire: una migrazione in Maremma

Capita il momento in cui l’inadeguatezza preme e schizzare via è l’incerto palliativo.
Meta fantasticata, rinnovare la mente, andare a caccia: questo serve e questa è l’idea-propulsore per raggiungere la velocità di fuga.
Andare come unica possibilità di sanità spirituale, farsi proiettile e concedersi a gravità altre.
Così nel Marzo 2013, in muta euforia, lascio la scolorita valle natale bergamasca e prendo il treno che si rivelerà essere il più fecondo della mia giovinezza.
Sarei dovuto partire per un’esperienza di 2 mesi. Sono passati 3 anni.

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La Toscana è armonica come si crede, non delude attese, ti fa microbo e partecipe al ciclo.
Qui ho trovato il respiro, il fissare i bei momenti, l’indizio di vita nella terra.
Le colline ospitano gli scenari variopinti delle macchie boschive che spartiscono ondulati spazi con i pascoli, le vigne con gli uliveti e, là, l’Argentario apre l’occhio alla Panthalassa.
Il cielo, la notte, è il più generoso che abbia mai visto: pulita volta tempestata dal palpito delle costellazioni.

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Arrivai a Ripacci (frazione rurale di Scansano, paesino nel mezzo della Maremma), presso l’azienda agricola Podere Novo, da wwoofer ovvero apprendista volontario in cambio di vitto e alloggio.
In breve tempo ho potuto munirmi dei rudimenti per condurre una vita agricola in buona parte autosufficiente. Oggi qui ci lavoro.
Isolata, a 7 km dal paese, questa contrada contadina crea una piccola comunità sinergica, un insolito e azzardato tentativo di condurre una vita sociale d’altri (nuovi) tempi.
La fattoria nacque 30 anni fa come progetto di comune rurale dall’entusiasmo di una dozzina di persone provenienti da svariate regioni italiane; ristrutturarono un rudere riconvertendolo ad abitazione e attorno costruirono stalla, caseificio e un’incantevole sala da meditazione. Eressero persino un rustico teatro a cielo aperto dalla tribuna in roccia che sorge tra l’uliveto e il versante dei campi, custode di un’arcana e magnetica atmosfera.
Romanticamente, pare qui latitino i ricordi di chi viene a cercare un abbraccio nel panorama.

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I giorni corrono tra le innumerevoli attività stagionali d’orticoltura e raccolta e la puntuale cura del bestiame. Nei mesi più caldi si aggiunge l’impegno in agriturismo.
Fossi solo, non sopporterei il ritmo a lungo, ma fortunatamente la costante presenza d’altri wwoofer concede tempi di lavoro ottimali e condivisione del quotidiano.
L’azienda, oltre ad essere prossima alla costa, situa a poco più dimezz’ora di auto dalle sorgenti termali d’acqua sulfurea di Saturnia, il bacino del fiume Albegna e le pendici del monte Amiata.
In un’area così contenuta ogni genere di scenario è contemplabile, perciò domeniche e giorni festivi si risolvono in sempre differenti escursioni.
Una profusione di giovani che vanno e vengono sperimentando qualche settimana o mese di vita agreste (i wwoofers sopracitati) tiene vivo il rapporto umano, la gioia dell’aver intrapreso questa via, lo studio dei caratteri e del linguaggio (2 volontari su 3 sono stranieri: ciò sprona a perfezionare il proprio inglese).

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Da 2 mesi a 3 anni dicevo.
Fuggire da una gravità non significa essere immuni ad altre, maggiori.
Va tutto bene. E’ perfetto. Le mani nella terra, i piedi sui prati finché ciò mi nutre.
Poi nessun problema.
Lo abbiamo ormai imparato: sappiamo evadere.

Arlecchino, il migrante sociale

Bergamo al tempo del Rinascimento non è che brillasse per fermento culturale o grandi corti di intellettuali. C’era cultura a Bergamo, ma non c’era una cultura bergamasca e salvo i colti festini della cricca del Colleoni, il resto della popolazione guardava alla Serenissima con la voglia di prendere e partire. Sia gli intellettuali che i popolani sentivano il bisogno di una nuova linfa vitale: molti decisero di andarsene dalle impervie valli per dirigersi verso città portuali come Pisa, Livorno, Genova e Venezia, dove i bergamaschi di montagna, laboriosi e forzuti, erano molto ricercati.

Facchino, manovale, servo erano i lavori più abbordabili nonché i più degradanti e, come accade ancora oggi: “Maledetti questi bergamaschi che ci rubano il lavoro!”. Dalla loro però avevano da giocarsi la carta della simpatia: un aspetto ridicolo, il gozzo – causato da acque cattive e pessima alimentazione – che gonfiava il collo e un dialetto molto stretto, ma che fornì a queste persone l’occasione di diventare degli attori professionisti.

Claudia Contin "Arlecchino", attrice italiana che porta in scena la più nota delle maschere maschili
Claudia Contin “Arlecchino”, attrice italiana che porta in scena la più nota delle maschere maschili

L’ “Arte” della Commedia, infatti, altro non è che “mestiere”, e i nuovi protagonisti della scena avevano mestiere da vendere: abilità diverse (canto e ballo, recitazione e acrobazie) si adattavano all’esile drammaturgia dei ‘canovacci’, in un continuo alternarsi di comico e drammatico, di battibecchi tra borghesi saccenti e Zanni sempliciotti ma efficienti e delle romanticherie degli innamorati; trame semplici e ‘tipi fissi’ che attirano il favore di ogni tipo di pubblico.
Il segreto del fascino della Commedia dell’Arte stava nell’improvvisazione, una ricerca lunga una vita che non ha nulla a che fare con l’incompetenza. Pensate a qualcosa come una jam session: in scena gli attori improvvisavano sul testo affiancando alle battute collaudate i detti popolari e riferimenti ammiccanti all’attualità del posto; attori che assimilavano qualsiasi forma spettacolare incontrata in viaggio, rinnovando continuamente la propria presenza scenica.

Accademici ed ecclesiastici aberravano tutto questo ciarlare nelle piazze: «i loro costumi sono questi: il saper vivere sempre per le osterie, l’essere vagabondi, spergiuri, ciarloni, puttanieri, giocatori e per corona di tutto bugiardi sopraffini». Le loro donne? Catalogate come «puttane erranti».
Già l’essere attori faceva di loro persone al limite della società; aggiungeteci il fatto di non vivere stabilmente a corte, sotto le dipendenze di un nobile signore, ma per strada: la piazza era il palcoscenico. Perché piacevano questi Zanni? Perché parlavano di tutto il popolo, del contadino bergamasco e dello schiavo veneto, dello spocchioso capitano di ventura e del dottore intellettualoide. La società che li accoglieva, nel bene e nel male, era l’ispirazione per lo sviluppo di trame rocambolesche dove gli unici obbiettivi dei servi Zanni e Arlecchino erano mangiare, bere e concludere qualcosa con la servetta di turno.

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Ma dietro la maschera c’è molto di più: tra coriandoli e stelle filanti, nel Carnevale riaffiora un rito antichissimo, il gioco magico e religioso del travestimento che è alle origini della storia dell’uomo.
Dietro la maschera c’è un attore che sfida i propri limiti, che smaschera bugie e lusinghe della parola e della mimica facciale rivelando la verità del linguaggio del corpo.
Dietro la maschera c’è un uomo che si trasfigura per adattarsi o opporsi a una nuova società, ieri come oggi.

Con buona pace degli aristocratici, i comici dell’arte hanno avviato una grande rivoluzione teatrale e sociale. La Commedia dell’Arte è alle origini del teatro moderno, fatto di attori professionisti e pagati, ma anche dell’emancipazione della donna, per la prima volta accolta su un palcoscenico senza dubbi sulla sua moralità, e dell’emancipazione sociale di chi, vagabondo per necessità, ha fatto dell’itineranza una scelta di vita o, almeno, un viaggio alla scoperta dell’altro e di se stesso.

Articolo di Sara Alberti e Alice Laspina

Job market for young students? Whatever the question INTERNSHIP is the answer

Studying and working can be seen as two different worlds sometimes, being the former really focused on theoretical frameworks while the latter is more focused on being productive, efficient, and independent.

More and more companies are hiring new employees with one pre-requisite that nine times out of ten makes them standing out from the crowd: working experience. The question rises naturally, how can you expect a new student who has just finished her/his studies to have already such experience?

There should be a starting point, there should be a chance to fill this gap between the academic world and the working one. What is the trade-off of such system?

Most of the time the answer is simply one: INTERNSHIP, which generally can last from 6 months to one year and the main aim of the company is to introduce the new student in the working environment starting with basic tasks to make her/him accustomed. Subsequently, the student is involved in more complex tasks which are pertaining to her/his domain of expertise. Benefits in terms of employability and success can be noticed at first glance in figure 1.

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Figure 1. Job offers and internship

The type of internship can vary according to the type of institution/organization, which can be for profit, nonprofit, private, federal or local. What emerges in all the different organizations is that all the paid internships are more likely to provide a full time offer when compared to unpaid ones. When it comes to receive a full time job offer, the difference shown in figure 2 underlines a considerable advantage for those who did a paid internship.

Figure 2. Full time job offers by paid or unpaid internship
Figure 2. Full time job offers by paid or unpaid internship

Three essential constituents involved in the job market system are students, universities, and companies. Given the importance of the internship in order to get access to the job market easily, universities represent the bridge between students and companies. Several universities provide online platforms which put in contact students and companies, job vacancies or internship positions are constantly uploaded, others organize career days where students have the chance to meet the company delegates who are looking for new potential employees.

Dutch universities make this connection possible by providing detailed online sections regarding the labor market and all the important steps to take to find the best working path for each candidate. For example on the UvT  website, these sections include training courses, workshops, CV consultations, application advices, career events and also insights on the labor market trends. In addition to these, active student associations give their contribute to the pursuit of job experience both at national and international level. One of the most known and active organization is AIESEC, which counts more than 70.000 members worldwide spread in 2400 universities in 126 countries.

Several leading companies cooperate with AIESEC to allow young students to develop their potential, gain experience, and widen their horizons through global internships.

AIESEC

If companies and private institutions appear to be a bit hesitant before hiring a new young employee with no experience at all, on the other hand a new young employee with such experience reached during an internship represents a more desirable candidate. The reason for such type of choice can be found in the considerable cost that a company has to invest if the candidate has no prior knowledge of practical tasks required or even if the theoretical knowledge goes beyond the practical one.  For the state of the job market which nowadays is getting more and more dynamic, hectic, and specialized such asset can represent a crucial element in the job offer and hiring process. All the necessary ingredients to boost a young student’s leap into this competitive and challenging arena are available around them, the rest depends on personal motivation, capability of adaptation and fast learning, positive aptitude, and of course a bit of luck.

Intervista al Movimento per la decrescita felice, la critica al sistema economico tra Pil, coriandoli e Arlecchino

Coriandoli, maschere e carri: Carnevale sta arrivando! La dissolutezza, padrona vera della festa, potrà agire incontrastata, sovvertendo ordini sociali e rapporti di supremazia. Tutto viene capovolto, destabilizzato attraverso un’orgia di colore, perché questa festa è così; nasce per sovvertire e sublimare, centrifuga i ruoli e mischia le carte tra chi è servo e chi è servitore. Ne è un esempio la storia della celebre maschera orobica di Arlecchino, che con il suo comportamento furbesco e truffaldino prova a farsi beffe del padrone per il quale lavora, arrivando talvolta ad umiliarlo. È il caso del padrone diventato cieco, deriso a sua insaputa e vessato da “servili” fendenti di bastone utili a condurlo come una bestia da soma.

Soffermandoci su questa maschera, importante protagonista della Commedia dell’arte italiana dal XVI secolo, non possiamo fare altro che annotare il suo ruolo di sberleffo colorato della società borghese, classe sociale dominante di allora.

 

Come Arlecchino ieri, oggi un’associazione, il Movimento per la decrescita felice, si diverte a smontare e sovvertire il pensiero dominante contemporaneo, discostandosi dalla logica del successo misurato con il PIL; anzi, ritenendo che ad ogni aumento del PIL si possa riscontrare una proporzionale diminuzione della qualità della vita. Qualità, questa, ritrovata e valorizzata con il ritorno alla campagna. Come? Insegnando ai giovani le tecniche di recupero delle pratiche tradizionali, adoperate dai nonni nelle campagne d’Italia e oggi utili per affrontare la crisi economica e l’oscura emergenza ecologica planetaria. E qui troviamo l’ennesima similitudine con Arlecchino, o meglio, con il suo avo medioevale, Hellequin, personaggio proveniente dalle fredde e cupe lande nordiche (la trasposizione contemporanea, vien da sé, va alle sconfinate aree urbanizzate), e successivamente migrato verso latitudini meridionali, dove si sarebbe sovrapposto ai riti di estrazione agricola legati al culto della fecondità vegetale.

 

Ma ora proviamo a capire quali sono gli obbiettivi, il pensiero e gli strumenti del Movimento per la decrescita felice; ne parliamo con Jean-Louis Aillon, presidente dell’associazione.

Buongiorno presidente.

Buongiorno Mirko. Siamo coetanei, perciò diamoci del tu, ti va?

Certo! Allora, anzitutto parlami della visione del Movimento per la decrescita felice.

L’associazione si fonda su un pensiero che è anche una filosofia di vita, un progetto non solo sociale ma anche politico, spirituale, che si sviluppa attorno a un concetto: “si vive meglio consumando meno”. Attraverso un percorso di decrescita, o meglio, di rinuncia alla fede cieca della crescita come unico scenario percorribile dall’umanità.

Quali sono le azioni concrete per attuare tale rivoluzione culturale?

Sono azioni quotidiane connesse tra loro: sicuramente lo sviluppo della tecnologia non fine a se stesso, ma funzionale all’aumento dell’efficienza energetica; successivamente un progetto politico pronto a cogliere il cambiamento, dove per “progetto politico” s’intende non di un sistema partitico, ma di una gestione attenta della polis, sganciata dalla logica del profitto a tutti i costi. L’economia deve tornare uno strumento dell’uomo e non viceversa.

Una politica fatta di gesti quotidiani: in che senso?

Una gestione della polis che provi a diffondere un diverso paradigma culturale. Facciamo qualche esempio: per noi bere l’acqua in borraccia è un gesto politico, fare un orto in città è un gesto politico, andare in bicicletta è un gesto politico… insomma, comunicare alla gente che c’è un modo più credibile e più sostenibile per vivere.

E il legislatore?

Se ci sarà qualcuno in grado di fare delle leggi in questa direzione, ben venga. Noi vogliamo assumere il ruolo di ispiratori, ci piacerebbe che qualcuno, all’interno dello scacchiere politico, cogliesse il nostro input culturale. Perché oggigiorno è chiaro che sia la destra che la sinistra non si discostano dalla ricetta della crescita, dalla stessa errata visione: c’è bisogno di introdurre nuove idee, nuovi valori in politica.

Jean-Louis, svaghiamoci un po’, andiamo al cinema o a teatro…

A questo proposito, bisogna dire che c’è tutta una produzione cinematografica che è funzionale al mantenimento del sistema predominante di valori.

Cioè?

Parlo del mainstream, della grande produzione hollywoodiana di massa. I valori vincenti e predominanti restano sempre il successo, il lavoro, un costante atteggiamento di dominio verso la natura, l’edonismo del consumo. A noi piacerebbe decolonizzare l’immaginario, proponendo una visione diversa, dove colui che risparmia non sia visto come un taccagno ma come una persona sobria, portatrice di un modello positivo, utile al benessere di tutti. Dove vivere senza sprechi possa essere una condotta vincente. L’arte è importante perché, se ben orientata, può incanalare messaggi e valori che potrebbero stravolgere questo mondo arrivando con immediatezza all’emotività delle persone.

 

Mi segnali qualche esempio di produzione “virtuosa”, fuori dagli schemi consolidati?

Penso a uno spettacolo teatrale molto bello proposto dalla compagnia Papalagi, composta da operatori e pazienti psichiatrici, organizzato dall’Usl di Lucca. È uno spettacolo incentrato sui racconti di un capo-comunità delle iole Samoa che fa ritorno alla sua tribù, che riporta tutto quello che l’Europa gli ha lasciato come viaggiatore, come testimone distaccato del nostro mondo.

Insomma, un’arte portatrice di valori condivisi nuovi o semplicemente rivisitati, come l’importanza dell’agricoltura e l’impegno dei giovani.

Sì, infatti il primo passo verso il cambiamento è l’evoluzione dell’immaginario collettivo, che in passato ha reso poco appetibile il contesto agricolo, il lavoro in campagna. Una mia amica insegnate raccontava che a Salerno un bambino veniva segnalato come “anomalo”, “problematico” perché riferiva di amare la terra. Non è necessario che facciamo tutti i contadini, chi non vuole potrà continuare a fare altro, ma la rivoluzione culturale dovrà portare a vedere il contadino come un mestiere nobile e ad arricchirlo con una formazione universitaria in grado di porre questa attività come un tassello per un futuro diverso.

Dunque il ritorno alla campagna può rappresentare un palliativo alla disoccupazione giovanile?

Sì, assolutamente. Se fatto con la testa, attraverso un percorso accademico professionalizzante, in realtà associative utili allo sviluppo della biodiversità e dell’eccellenza del territorio, secondo i metodi della permacultura.

Parlando di ritorno all’agricoltura, un cenno al  vegetarianesimo è d’obbligo…

Noi del movimento abbiamo un approccio assolutamente libero, rimane però la consapevolezza che sia la scelta più sostenibile. Lo dice un carnivoro che però si impegna a limitare fortemente il proprio consumo di carne.

E poi ci sarebbe il tema Expo, la neocolonizzazione chiamata eco-sostenibilità, la questione dei Paesi emergenti… Insomma, c’è materiale per scrivere un altro pezzo sulla rivoluzione del Carnevale, o forse su una vera e propria rivoluzione culturale, se è vero che oggigiorno la cultura dominante può essere ben sintetizzata da una massima del filosofo polacco Zygmunt Bauman: «Se lei fa un incidente in macchina l’economia ci guadagna. I medici lavorano. I fornitori di medicinali incassano e così il suo meccanico. Se lei invece entra nel cortile del vicino e gli dà una mano a tagliare la siepe compie un gesto antipatriottico perché il Pil non cresce. Questo è il tipo di economia che abbiamo rilanciato all’infinito. Se un bene passa da una mano all’altra senza scambio di denaro è uno scandalo».

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