Tag: dittatura

Fuga da una democrazia negata: il viaggio di Abdul dall’Eritrea all’Italia

Primavera milanese, scende la sera e la prima folata di vento viene a stuzzicare Hamadou e me, seduti alla pensilina di Lambrate, in attesa del treno per rientrare a casa. Un africano dalla carnagione opaca e il naso stretto si avvicina per chiedere una sigaretta. «Da dove vieni?» chiedo. «Eritrea».

Istintivamente Hamadou si alza a prendere un caffè caldo dalla macchinetta, lo porge al ragazzo che gli si siede accanto e domanda di lui, della salute, della famiglia, secondo i convenevoli in uso nei paesi musulmani. Abdul si presenta e racconta la sua storia.

Asmara - Capitale d'Eritrea
Asmara – Capitale d’Eritrea

«Fratello, non ho notizie da più di un anno della mia famiglia. Mia madre è deceduta mentre ero in viaggio; mia sorella forse è ancora giù, forse partita anche lei».

Da più di un anno, Abdul vive in strada; dal giorno in cui è scappato dal centro di prima accoglienza in Sicilia, ha conosciuto pensiline e stazioni in tutta Italia, attraversando la penisola sui binari e fermandosi su sollecito dei controllori, che di volta in volta lo trovano sprovvisto di biglietto.

«Non potevo più aspettare i documenti nel centro accoglienza: era come una seconda prigionia, dopo quella in Libia. In più c’era il rischio che mi dessero l’asilo umanitario, anziché quello politico: vuol dire che hai passaporto e documenti per viaggiare; da noi è vietato possederli prima dei 50 anni. Il governo eritreo viene informato dei cittadini all’estero che prendono passaporto e può punire le loro famiglie».

L’Eritrea è oggi una delle più terribili dittature: da 21 anni Isaias Afewerki, eletto poco dopo il voto per l’indipendenza, ha imposto un governo assolutista e fortemente militarizzato, che ignora le leggi della pur approvata Costituzione del 1997. La popolazione è totalmente privata dei propri diritti civili, l’informazione è controllata e la leva obbligatoria, estesa per legge a uomini e donne in età dai 18 ai 50 anni e spesso anticipata, è prevista non solo in caso di guerra, ma anche per programmi di lavoro statali.

Incontro tra il Segretario della Difesa Donald H. Rumsfeld e il Presidente Isaias Afwerki ad Asmara, Eritrea, il 10 Dicembre 2002 [ph: by Helene C. Stikkel]

«Sono partito la settimana dopo la morte di mio fratello maggiore, entrato nel campo di servizio militare a 17 anni. Mio padre ci aveva lasciati da meno di un anno per una malattia, quando sono venuti a portarlo via; pochi mesi dopo sono venuti a cercare me e mio fratello minore, perché mio fratello aveva tentato la fuga dal campo ed era stato fucilato. Fortunatamente nessuno era in casa quando arrivarono e fummo avvisati da conoscenti. Fuggimmo nel deserto, io e mio fratello lo attraversammo a piedi; mia madre si nascose per mesi insieme alla mia sorellina di pochi mesi presso una zia».

Abdul racconta molto dei giorni trascorsi nel deserto: il sole cocente sulla fronte, il cibo razionato condiviso, i predoni da cui fuggire nascondendosi sotto la sabbia calda. Racconta del fratello e delle chiacchiere e di come la notte si sdraiassero pochi minuti a osservare la volta stellata:

 «È l’ultimo ricordo felice nella mia terra».

Dopo il deserto, la sua voce trema. Ci racconta sottovoce d’aver perso il fratello nelle prigioni libiche: «Mi sono imbarcato da solo. E sul gommone ogni giorno moriva un fratello».

Il suo racconto s’interrompe e mi fissa con sguardo intenso, duro e fiero:

«Voi europei vi dimenticate spesso delle fortune che avete e di quanto sono costate. Le ricchezze e i diritti che avete ottenuto sono anche grazie allo sfruttamento delle colonie. Noi continuiamo a subire le conseguenze della politica coloniale: gli europei hanno stabilito prima di cedere l’Eritrea all’Etiopia, poi di sostenere la nostra indipendenza. Ora anziché intervenire perché si rispettino i diritti umani, stringe accordi con Afewerki, come fosse un presidente democratico aperto al dialogo. Costerebbe troppo intervenire militarmente e non ci sarebbe nulla da guadagnare».

Vorrei chiedere scusa. Vorrei fargli sapere di come anch’io vorrei che il mio paese aprisse gli occhi e guardasse oltre le frontiere, per accorgersi che una vera democrazia non può esistere finché ci sia anche un solo popolo cui è negato il diritto a parlare, soprattutto quando quel popolo è stato tuo compatriota e ancora bussa alla tua porta per chieder aiuto. Non ci sono parole e forse non servono.

Stringo la mano di Hamadou; guardo il cielo, dove ormai sono apparse le stelle.

Le maschere del Duce

«Mussolini crea un grande scenario, dove l’entusiasmo si trasmette attraverso la sapiente energia di una mobilitazione continua che culmina poi con l’apparizione del Duce dal balcone e molti quando vedono apparire Mussolini scrivono, anche i ragazzi nei diari o nei compiti di scuola: “E’ come se apparisse Dio”».

[Emilio Gentile, E fu subito regime, 2012]

«Quando prende a parlare, dagli occhi si sprigionano faville e dalla bocca escono frasi concitate e rotte nella piena della passione e della foga oratoria […] È grande, è bello di quella bellezza che la superiorità dello spirito plasma nei visi degli apostoli e degli eroi».

[Luigi Vicentini, Mussolini veduto all’estero, 1924, Barion editore]

Questi gli sguardi di chi osservava il Duce. Eppure Benito Mussolini era alto 1,67 m per un peso di 70 kg circa.
Com’è possibile una tale discrepanza tra le misure del Duce, non certo colossali, e il modo in cui veniva percepita la sua immagine, la sua fisicità?
Qual è il vero volto di Mussolini?

Duce1

Parlare dell’immagine del Duce vuol dire riflettere su come una tale personalità abbia voluto mostrarsi, attraverso volti diversi, per ottenere un ampio consenso. Piuttosto che cercare un’unica sembianza e fisionomia del gerarca fascista, sarà quindi opportuno parlare delle maschere e dei costumi che indossava. Mussolini fa della sua estetica e dei suoi tratti i contorni del fascismo stesso: la mascella serrata, metallica e imponente, il passo deciso e determinato, l’occhio folle e visionario, il petto e le spalle larghi, corazzati, fieri. Il Duce è il primo dei fascisti, il modello cui rifarsi, il corpo-corpus studiato nelle scuole.

A ben vedere, lui non è il soggetto osservato, bensì colui che mette in mostra se stesso perché l’importante è esserci, sempre. Esserci per mostrarsi. Mostrarsi per essere osservati. Essere osservati per essere ammirati, emulati, seguiti.

Duce2

Mussolini si mostra innanzitutto membro del popolo che guida, anche attraverso la propria immagine. Con l’obiettivo di radicare il potere della sua dittatura su tutta la nazione, intraprende una serie di viaggi assieme a una troupe fotografica da lui stesso preparata, nelle diverse regioni della penisola, fino a raggiungere i suoi conterranei nelle aree di maggior migrazione.

Ecco allora la figura del giovane maestro di scuola romagnolo emigrato in Svizzera, povero e malmesso, che riesce a salire nella società altoborghese e aristocratica per rompere gli equilibri. Il Duce contadino con le sue quarantaquattro ferite della prima guerra mondiale esibite in parte a busto nudo sotto il sole cocente, che grida promettendo il pane al popolo. Il Mussolini sportivo e praticante delle piste da sci, sprezzante delle basse temperature. Vicino ai minatori piemontesi nella visita alle cave di Cogne nel Maggio del 1939, con un’insolita veste, che sembra calzare con disagio e inadeguatezza. Ma anche, una figura bohèmien che passeggia sul lungomare di Osta nel 1928 o un aitante borghese che con sguardo sfrontato esprime tutto l’arrogante spirito del “me ne frego” fascista.

Anche nel rapportarsi ai popoli dell’Africa imperale, Mussolini volle dimostrare di saper parlare il medesimo linguaggio culturale, indossando abiti folkloristici e integrando i costumi fascisti alle culture delle colonie.

 

 

Mussolini non è solo la voce della borghesia e le braccia del popolo; era osservato anche da occhi stranieri. Nel 1932 il giornalista americano Lowell Thomas realizzò il film Mussolini speaks per la Columbia e definì il Duce “il moderno Cesare”, apprezzando l’iconografia che era riuscito a realizzare.

Un uomo che è diventato immagine, tanto attraverso l’espressività facciale quanto attraverso l’abbigliamento, facendo della sua figura strumento di divulgazione e comunicazione verso ognuno, plasmandosi secondo l’appartenenza di ceto, della nazionalità, della cultura dei suoi interlocutori.

Un uomo divenuto emblema, mascherato da personaggio e finito vittima di quest’ultimo.

Quasi per un’amara legge del contrappasso alla fine la maschera è stata distrutta brutalmente da una morte violenta; l’immagine si è capovolta e il volto chiaro, netto che non lasciava spazio al dubbio e all’incertezza ha ceduto il passo alla carneficina e al misterioso senso di una vendetta, di una morte che ha fatto tacere ogni personaggio, ogni costume, ogni volto di Benito Mussolini.

Duce4

 

In copertina: Busto di Mussolini di Adolfo Wildt, copia di quello posto a ornamento della Casa del Fascio di Milano e distrutto a picconate nel 1945; Profilo Continuo di Renato Bertelli, creato la prima volta nel 1933 e poi riprodotto per sedi del Partito Nazionale Fascista, Gruppi Regionali, Case del Fascio e abitazioni private; Dux di Thayaht (Ernesto Michahelles), donato nel 1929 dall’artista a Mussolini.

Reg. Tribunale di Bergamo n. 2 del 8-03-2016 - privacy - cookies
©2023 Pequod - Admin - by Progetti Astratti