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Letture per identità libere da ogni maschera

Vi siete persi il Pride di Bergamo e cercate ora un’opportunità per incontrare un po’ della folla che ha colorato le vie della città? O forse eravate proprio in mezzo a quella folla, danzanti tra arcobaleni riprodotti su magliette, calzini, bandiere e collane hawaiane, ma non vi sentite sazi della miriade di storie, esperienze di vita che stavano dietro i sorrisi di quei volti?

Nulla da temere! Il Pride non si chiude con una giornata di sfilate: tra le molteplici iniziative prima e dopo la manifestazione del 19 maggio, alcune conferenze dedicate alla letteratura LGBT+ aprono a orizzonti di racconti da portare a casa con sé, leggere e rileggere per entrare in empatia con persone che in parte siamo, che forse avremmo potuto essere, o magari davvero diverse da noi e straordinarie proprio per quest’unicità che ci accomuna tutti.

 

 

 

Impossibile è restare indifferenti di fronte alla raccolta Le cose cambiano – Storie di coming out, conflitti, amori e amicizie che salvano la vita, presentato il 22 Maggio attraverso una serie di letture presso la Biblioteca Caversazzi. La dichiarazione d’intenti in apertura alla raccolta è chiara ed esplicita: «Questo libro è il nostro contributo affinché la società si trasformi e l’immaginario LGBT si evolva». Del resto la società è già in trasformazione, una trasformazione lenta ma decisa, che avanza anche grazie a iniziative come quella che questo libro rappresenta.

La raccolta è frutto di un progetto nato in America nel 2010: Dan Savage e suo marito Terry Miller, sconvolti da una serie di suicidi di ragazzi omosessuali vittime di bullismo, caricano su YouTube un videomessaggio per le vittime di discriminazione, rivolgendosi a loro come avrebbero voluto parlare agli adolescenti che loro stessi erano, cui avrebbero voluto dire «di resistere, perché presto andrà tutto meglio, troveranno degli amici fantastici, troveranno l’amore e un giorno avranno una vita molto più felice di quanto immaginate».

La loro azione diventa virale e una serie di testimonianze da tutto il mondo vanno a raccogliersi nel progetto It Gets Better, che in Italia sbarca l’anno successivo grazie all’associazione no profit Girls and Boys e nel 2013 si trasforma in un libro cartaceo. Il filo conduttore è proprio il cambiamento, visto sempre in una prospettiva positiva: l’intento non è muovere recriminazioni alla società attuale, bensì infondere speranza di un futuro più facile a quegli adolescenti che, impegnati nella scoperta della loro identità, si sentono smarriti in una comunità che non sembra volerli accettare.

Nell’edizione italiana, a cura di Linda Fava, alle testimonianze di noti americani (da Chaz Bono a Hillary Clinton, passando per Barack Obama) si aggiungono racconti di esperienze vissute nella penisola dagli anni ’80 a oggi, che ci regalano uno spaccato della storia d’Italia, di cosa abbia significato e significhi essere omosessuali nel Belpaese, a dimostrazione che le cose cambiano se lo vogliamo, come insegnano le parole dello psichiatra e psicanalista Vittorio Lingiardi:

Ma “le cose cambiano”.
Sì, ma è uno slogan.
No, è un esercizio che si può fare tutti i giorni.

 

 

Alle difficoltà dell’adolescenza è dedicato anche il libro presentato il 4 Maggio alla caffetteria Dolcevita: Siamo tutti arcobaleni di Francesca Bonelli Morescalchi, un romanzo che prima ancora di portarci a riflettere sull’omosessualità, ci costringe a constatare che c’è un’uguaglianza di fondo che ci accomuna tutti come esseri umani. Attraverso la voce di uno dei protagonisti, infatti, è raccontata la storia di tre sedicenni, tre amici alle prese con la difficoltà di diventare adulti, di capire e plasmare la propria identità, tra le fatiche spese sui libri di scuola e il rapporto con i genitori e con le loro ansie.

A smuovere le acque è ancora una volta il suicidio di un giovane omosessuale bullizzato dai compagni di scuola, che pone Berna di fronte all’impellente necessità di esprimere liberamente la propria identità sessuale, frustrata dalla relazione con Fabrizio, che non si sente pronto al proprio coming out. Assieme a Ghigo, voce narrante della trama ma anche delle turbe adolescenziali di chi teme di non trovare mai la propria strada per l’autorealizzazione, e Marco, impegnato a liberarsi da genitori troppo protettivi, decidono di compiere la loro grande trasgressione: saltare la gita scolastica per partecipare al Gay Pride di Milano.

Tema centrale del romanzo è quindi l’identità, intesa come unicità di ogni individuo, al di là dei livellamenti che la società vorrebbe imporci, ben espressi nelle domande retoriche scritte dall’autrice per la presentazione del libro: «Gli adolescenti sono tutti uguali? La società li schiaccia e li obbliga in modo subdolo ad appiattirsi e assomigliarsi, o sono forse loro stessi a volerlo? Oppure ognuno è speciale, unico e irripetibile, con colori tutti suoi, variopinti come l’arcobaleno?».

Se è vero che il nostro secolo ha sdoganato attitudini e stili di vita un tempo pensati come deviati e sempre più pride (ma più ingenerale eventi per quei soggetti etichettati come “alternativi”) si organizzano nel mondo, è impossibile nascondersi che l’omofobia resta un problema sociale forte, come dimostrano gli episodi di violenza che emergono dalla cronaca; l’adolescenza è sicuramente l’età in cui il bullismo omofobo meglio attecchisce, ma la storia editoriale di questo romanzo dovrebbe portare a riflettere su quanto anche il mondo adulto sia ancora impreparato ad affrontare l’originalità individuale: rifiutata da una serie di editori, che pure avevano apprezzato il testo, Francesca Bonelli Morescalchi si è risolta per la pubblicazione indipendente su Amazon e per la promozione diretta attraverso iniziative come quella del comitato Bergamo Pride.

 

 

Tra gli eventi da non perdere è l’appuntamento del 27 Maggio presso la Sala Civica Ex Enel di via Mazzini 6 (Bergamo), in cui verrà presentato il libro La Crociata anti-gender. Dal Vaticano alle manif pour tous, a cura di Sara Garbagnoli e Massimo Prearo. I due autori, chiamati nel 2013 a pronunciarsi sull’argomento in qualità di studiosi di teorie e politiche elaborate dai movimenti femministi e LGBTQI, ripercorrono nel testo i processi di nascita e sviluppo dei movimenti anti-gender partendo dalla formulazione stessa del termine “ideologia gender” da parte del Vaticano, al fine di creare i due schieramenti pro-gender e anti-gender.

Lo scontro che si è così venuto a creare, assume nell’analisi condotta l’aspetto di una crociata ideologica che combina tre movimenti: attacco sul fronte teorico (ossia «la deformazione e la demonizzazione, e quindi la delegittimazione, delle teorie femministe e queer […] accusati di essere ideologici, “non-scientifici”, in quanto “politicizzati”»), sul fronte giuridico (usando il gender come «sinonimo di “cospirazione ideologica” che genererebbe conseguenze “antropologicamente” devastanti», quali i matrimoni tra omosessuali e l’omogenitorialità), sul fronte scolastico (attraverso l’accusa ad alcune riforme scolastiche di devastare «il sistema di percezione identitario delle bambine/i»).

«Il termine “crociata” include e veicola le due dimensioni – belligerante e religiosa – di questo movimento che, tra l’altro, rivendica la prima e nega la seconda. Infatti, secondo tali attori la “guerra al gender” non avrebbe nulla di propriamente religioso, ma costituirebbe una “antropologica difesa dell’Umano”». È in questo modo che il gender viene presentato come una patologia sociale, contro cui si schierano i più svariati movimenti conservatori, tra cui gruppi politici di matrice populista e strutturalmente anti-democratici, che sempre più prendono piede nei paesi presi in analisi dal testo, Francia e Italia.

«Non c’è nulla di sorprendente nel constatare che [tale crociata] sia diventata un cavallo di battaglia di numerosi gruppi di estrema destra, identitari, neofascisti o neonazisti che, attraverso il prisma della “guerra contro il gender, hanno riformulato in termini cosiddetti “antropologici” la loro battaglia non solo sessista, omolesbobitransfobica, ma anche nazionalista, xenofoba e razzista».

Questo corso di educazione sessuale cinese vi sorprenderà

I bambini cinesi ora hanno un corso di educazione sessuale di cui possiamo essere fieri” scrive il quotidiano statale Global Times su Weibo, il Twitter cinese. Il giornale, molto fedele alle linee del governo, si riferisce ai nuovi testi del Gruppo Editoriale dell’Università Normale di Pechino che sono stati distribuiti agli studenti delle scuole primarie. Se fino all’anno scorso gli alunni ricevevano libri in cui, per esempio, si bollavano come “degenerate” le ragazze che hanno rapporti prima del matrimonio, ora è stato fatto un salto in avanti evidente. E, per qualcuno, anche scioccante.

Già in seconda elementare i manuali spiegano, con testi e disegni molto chiari, come funzionano gli organi genitali e come nasce un bambino. Raccontano che bisogna seguire i propri desideri e le proprie aspirazioni senza lasciarsi sviare dagli stereotipi di genere (una bambina può diventare una poliziotta intransigente o un’intrepida astronauta, esattamente come un bambino può diventare un maestro d’asilo o un infermiere amorevole). E insegnano cosa sono le molestie sessuali e come cercare di sfuggirle, chiedendo aiuto ai genitori o alla polizia. I testi non tacciono neppure del fatto che a volte certe attenzioni inappropriate degli adulti possono arrivare non da sconosciuti, ma da parenti e amici.

I diversi temi sono riproposti e approfonditi dalla seconda alla sesta elementare. Il tema generalmente tabù dell’HIV e delle malattie sessualmente trasmissibili (MST), per esempio, è affrontato a partire dalla quinta, quando si spiega l’importanza dell’uso del preservativo nei rapporti eterosessuali e omosessuali.

Già, perché il corso di educazione sessuale parla spesso e volentieri dei diversi orientamenti. Sin dalla seconda elementare, i bambini imparano che c’è chi ama le persone del sesso opposto e c’è chi invece ama le persone dello stesso sesso e che va benissimo così, perché “l’amore è una cosa meravigliosa” sempre e comunque. E ci sono pure le persone bisessuali e anche per loro vale lo stesso discorso: “Saresti scioccato da una persona a cui piace sia il piccante che il dolce?”.

Non è giusto discriminare le persone LGBTQI (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer e intersessuali), spiegano i libri, e quando succede non bisogna accettarlo. Perché tutti abbiamo diritto ad amare chi vogliamo e a essere felici con lei o con lui. Per questo i volumi sono popolati da ragazzi che sognano altri ragazzi, da uomini che preparano la cena per i compagni, da donne innamorate che passano il tempo libero insieme, da ragazze che parlano tranquillamente del proprio orientamento a genitori solidali. Scene semplici di una vita quotidiana serena e piena d’affetto e di rispetto.

E tra queste scene spuntano anche coppie omosessuali con figli e altre che si sposano. Il corso, infatti, spiega ai bambini delle elementari che in alcuni paesi del mondo esiste il matrimonio tra persone dello stesso sesso, anche se non è riconosciuto in Cina, almeno “per ora”, come annota sorprendentemente il libro.

Ovviamente il nuovo corso di educazione sessuale ha suscitato l’entusiasmo delle femministe e degli attivisti per i diritti delle persone LGBTQI, ma ha creato molte polemiche sui social network. Le critiche, però, non si sono concentrate sull’apertura alla diversità sessuale né si sono trasformate in stupidi complottismi su improbabili “ideologie gender”: è il disegno di un rapporto sessuale etero ad avere imbarazzato molti adulti, con Weibo che si è riempito di testimonianze di genitori che sono arrossiti vedendo l’immagine. D’altra parte sono cresciuti in scuole dove i libri di testo non raccontavano il sesso, ma lo demonizzavano come “degenerazione”.

Scritto da Pier.

Immagine copertina: collage dal Manuale di educazione sessuale cinese.

Fonte: Il Grande Colibrì

ORLANDO, il festival raccontato da Mauro Danesi

Per tutti i cittadini disponibili ad ampliare i propri orizzonti, una rassegna queer può essere l’occasione per osservare le trasformazioni della società e delle identità umane. Il festival Orlando, alla sua quarta affermazione, da ieri e fino a domenica 21 maggio trasforma Bergamo dedicando oltre una settimana all’identità di genere, alle relazioni, agli stereotipi, al corpo e alla ricchezza che scaturisce dall’incontro con l’altro.  Orlando è un progetto di Lab 80 film, l’associazione di cultura cinematografica più longeva d’Italia, sempre alla costante ricerca di nuovi progetti, autori e linguaggi a cui dare visibilità. Oltre trenta eventi sparsi per la città tra film in anteprima, spettacoli di teatro e danza, mostre, incontri e momenti di formazione, sia per adulti che per bambini, con la possibilità di un viaggio interdisciplinare tra generi e generazioni.

Mauro Danesi, curatore del festival, si è sempre interessato di progettazione culturale e organizzazione, in un continuo percorso di crescita fatto di studio e osservazione. Dopo gli studi in psicologia e quattro anni di medicina, approda all’ambito teatrale seguendo corsi di teatro danza e lavorando come attore dal 2006 con il Teatro Tascabile di Bergamo. Orlando «è esattamente un lavoro di squadra a più teste e più corpi», commenta Mauro, «ho frequentato qualche storico festival queer italiano, sperimentando come potessero essere spazi di libertà e sperimentazione, che allargano le gabbie strette dei pochi modelli imposti rispetto alle identità e alle relazioni. Da lì è nato il forte desiderio, in dialogo con amici e amiche che l’hanno sostenuto, di provare a portare un progetto queer anche a Bergamo, e siamo partiti dal coinvolgimento di Lab 80 film che ha accettato con entusiasmo».

 

Scelte e proposte geniali, eccentriche e di spessore. L’originalità e l’unicità dell’evento trovano fondamento nella stima per altre realtà e festival: «tra tutti il principale è Gender Bender di Bologna, un bellissimo festival che da 14 anni propone un programma innovativo e misto per tipologia di proposte e temi trattati.​ Abbiamo voluto lavorare su Orlando in modo altrettanto ibrido, proponendo cinema, teatro, danza e incontri», continua Danesi, «ma poi gli “ingredienti” culturali del programma annuale li andiamo a comporre ogni anno andando a ricercare in festival di cinema e teatro in Italia e all’estero, altri li progettiamo in relazione con i tanti enti con cui collaboriamo, altri ancora sono sperimentazioni che decidiamo di mettere in cantiere dopo lunghe riunioni di staff in cui ci si interroga su cosa possa essere utile ed efficace per un buon cambiamento della nostra società, cosa possa fare la differenza». La principale fonte di ispirazione è sempre l’Orlando di Virginia Woolf, «il romanzo da cui il progetto ha preso il nome e che leggiamo e rileggiamo ogni volta».

Tutti i lavori scelti rispecchiano la complessità del progetto e sono frutto di continua ricerca e sperimentazione, tentativi felici di conoscere l’alterità, la molteplicità delle identità e degli orientamenti sessuali e le visioni contemporanee sul corpo. Tra i tanti, per la sezione danza, «R.osa di Silvia Gribaudi con ironia va ad allentare gli schemi rigidi che spesso limitano i corpi in canoni di bellezza riduttivi, dando respiro e ampiezza alle possibilità di essere ciò che siamo. Nella sezione cinema, la principale, ci ha toccato molto Close-Knit (visto al Berlin International Film Festival lo scorso febbraio) dove il tema dell’identità di genere viene visto attraverso gli occhi di bambini e bambine con uno sguardo leggero e generativo, oppure il commovente documentario Les vies de Therese che affronta con vitalità ed emozione temi tabù come il corpo anziano e la morte». E ancora, «Geppetto e Geppetto di Tindaro Granata (sezione teatro) è pure uno spettacolo che abbiamo selezionato appena visto: il tema di Orlando 2017 è quello delle relazioni e questo spettacolo lo affronta senza evitarne la complessità e la ricchezza».


E così, nonostante gli ostacoli incontrati, il progetto negli anni ha trovato collaborazioni sempre più numerose, una risposta crescente di pubblico e un ampliamento delle attività fino a diventare un progetto annuale. Un progetto che negli anni ha trovato progressivo sostegno. Chiedo a Mauro come spiega, da un lato, la ritrosia sociale verso queste tematiche, dall’altro il crescente desiderio ed interesse ad avvicinarvisi.
«So bene, e ​lo sperimento, che ci sono diffidenze rispetto a questi temi: spaventa l’affrontare la complessità, c’è il timore che aprire le porte metta in pericolo la propria identità (questo accade nell’incontro con le differenze in genere). Ma siamo convinti che proporre modelli altri rispetto allo standard non minacci chi in quei modelli si ritrova bene, così come ampliare diritti e possibilità non vada a limitare quelli pre-esistenti. Al di là delle diffidenze c’è forte il bisogno di allargare le gabbie rispetto alla propria identità, al proprio orientamento sessuale, a cosa debba significare culturalmente e socialmente essere donna o uomo, cosa si possa o non si possa fare, chi si possa o non possa amare. In queste stesse gabbie molti e molte di noi non si ritrovano e desiderano trovare una propria via».
E così, nonostante gli ostacoli incontrati, il progetto negli anni ha trovato collaborazioni sempre più numerose, una risposta crescente di pubblico e un ampliamento delle attività fino a diventare un progetto annuale.

Altro aspetto fondamentale è il lavoro fatto nel campo dell’istruzione. Belle in tal senso sono alcune delle proposte dedicate alle scuole. «Il lavoro di formazione sull’educazione alle differenze è il nucleo di senso del progetto Orlando: quest’anno incontriamo circa 1300 studenti e studentesse delle scuole superiori con l’attività Essere (se stessi) o non essere. È un lavoro sul contrasto dell’omofobia e del bullismo omofobico, che portiamo nelle scuole con Centro Isadora Duncan e Bergamo contro l’omofobia, lavorando con gli studenti a partire dalla proiezione di film che selezioniamo ogni anno». Nell’edizione 2017 un’altra novità: «un progetto laboratoriale di formazione per l’infanzia, Altre storie possibili con HG80, per giocare e leggere senza stereotipi, così come non mancano incontri di formazione per gli adulti».

Già dalla scorsa settimana alcuni laboratori hanno raggiunto il limite massimo di iscrizioni possibili e gli spettacoli prevedono una lunga lista di prenotati. Gli incontri di avvicinamento al Festival sono stati molto frequentati. Questa settimana si annuncia vibrante; Bergamo partecipa alle trasformazioni della società e delle identità sperimentando come «un punto di vista (apparentemente) eccentrico può portare maggiori libertà per tutti i cittadini e le cittadine».

Il cinema al femminile, tra fermento creativo e rivendicazioni politiche

Mentre il Bergamo Film Meeting, da sempre attento a celebrare (anche) il cinema al femminile, omaggia in questi giorni Anna Karina, in tanti festival le artiste trovano la loro massima celebrazione nel ruolo di attrici, mentre meno riconosciute sono le donne che si muovono dietro la macchina da presa o ad orchestrare, in qualità di produttrici, opere messe in scena dai colleghi uomini.

Nell’ambito dell’ultima edizione della Berlinale, la conferenza Where are the women directors in European films? Gender equality report on female directors (2006-2013) with best practice and policy recommendations, promossa dall’EWA (European Women’s Audiovisual) è stata l’occasione per fare luce sulla situazione del cinema al femminile, sui suoi numeri e sulla sua visibilità a livello internazionale, oltre a rappresentare un primo, fondamentale passo per avviare una serie di buone pratiche tese a supportare le donne impegnate nelle professioni audiovisuali.

Il collettivo Film Fatales
Il collettivo indipendente Film Fatales

Proprio uno studio dell’EWA, condotto per due anni coinvolgendo oltre mille voci differenti, rivela dati sconfortanti sulla parità di genere in ambito cinematografico: solo il 21% dei film prodotti a livello europeo è diretto da donne, forse anche in ragion del fatto che l’84% dei fondi pubblici finiscono per essere ripartiti tra opere dirette da uomini.

Se una forte spinta alla promozione del cinema al femminile è data dai festival di genere – tra gli altri, il milanese Sguardi Altrove, la cui prossima edizione si terrà dal 17 al 25 Marzo – il rischio per lo spettatore, soprattutto se non strettamente cinefilo, è quello di rimanere ai margini di un capitolo fondamentale del cinema contemporaneo non equamente supportato dalle distribuzioni e dai media.

Se i talenti di certo non mancano, così come i tanti riconoscimenti internazionali – l’Orso d’Argento per la Miglior Regia all’ultima Berlinale è stato infatti assegnato a Mia Hansen-Løve per il suo L’avenir – spesso l’unica occasione per vedere opere al femminile è affidata a passaggi festivalieri o proiezioni nelle sale sin troppo rarefatte: dai ritratti umani di Claire Denis e Andrea Arnold al cinema denso di memorie di Naomi Kawase, dalle sperimentazioni di Claire Simon al riscatto di genere delle protagoniste dei film di Céline Sciamma.

Il cast di “Bande de Filles” e, al centro, la regista Céline Sciamma

 

Laura Poitras e gli attori di "Citizenfour", premiato come miglior documentario agli Oscar 2015
Laura Poitras e gli attori di “Citizenfour”, premiato come miglior documentario agli Oscar 2015

Parliamo di cineaste che rivendicano maggiore attenzione e tutela per il proprio fermento creativo e che troppo spesso non riescono a raggiungere il pubblico italiano, complice una distribuzione lacunosa, al di là di qualsiasi distinzione di genere: dal cinema politico di Laura Poitras (il cui Citizenfour ha vinto il Premio Oscar al Miglior Documentario nel 2015), ai cortometraggi che intrecciano riflessioni sulla memoria, la condizione di esule e la fuga di Mati Diop; da una delle nuove portavoci del cinema indipendente americano Josephine Decker a Valérie Donzelli, che con il suo La guerre est declarée ha messo in scena, recitandola in prima persona, una drammatica storia autobiografica di madre e compagna.

Ma anche l’Italia vanta eccellenze al femminile: da Emma Dante a Eleonora Danco, da Alina Marazzi (in copertina, una scena del suo Tutto parla di te) a Martina Parenti, costantemente al lavoro con il compagno Massimo D’Anolfi.

Se siete alla ricerca di nuovi punti di vista, date un’occhiata alla lista di opere dirette da donne stilata dal collettivo Film Fatales, che riunisce nuove autrici del panorama indipendente: se hanno ispirato loro, potrebbero essere un ottimo spunto per le vostre prossime visioni…

Film Fatales

Sinodo 2015: tra geopolitica ed ermeneutica

Succede che, in una famiglia, le persone crescano e autodeterminandosi, imparino a recitare il proprio ruolo sul palcoscenico della vita. Così, nella grande famiglia della Chiesa Cattolica, talvolta i pastori dislocati negli angoli più remoti del mondo, influenzati dalle diverse culture dei posti stessi che li ospitano, discostino il proprio pensiero dalla linea originaria su cui si erano formati come uomini di chiesa, teologi e Pastori. Succede, quindi, che ora in veste di padre premuroso, ora di monarca assoluto, il Santo Padre convochi il Sinodo, l’adunanza di Vescovi disciplinata dall’art.342 del Codice Canonico, per fare quadrato, per misurare la volontà delle diverse anime che costituiscono la Chiesa circa la disponibilità al cambiamento nei confronti di una Società che, molto più velocemente di loro, cambia, adottando valori universali diversi e per certi aspetti rivoluzionari rispetto l’antico ordine dell’uomo, della famiglia, della vita.

L’adunanza svoltasi dal 4 al 25 Ottobre 2015 ha avuto quale focus  “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo”,  Già la famiglia. Ma quale famiglia? La famiglia esclusivamente etero? La famiglia fondata su un’altra famiglia affondata? Si tratta di questioni da affrontare con la lucida consapevolezza che il mondo non è più lo stesso di qualche tempo fa.religioni_nel_mondo_800

L’indissolubilità del matrimonio sempre più flebile, la libertà sessuale, la teoria gender, la procreazione medico assistita sono tutti macrotemi con cui  la Chiesa dovrà fare necessariamente i conti, altrimenti la stessa sarà destinata ad un ruolo marginale, a vantaggio di quelle professioni di fede che avranno saputo meglio interpretare le richieste avanzate dalla temporalità della seconda decade degli anni 2000.

A questo punto si annoda la matassa: la necessità di rincorrere l’ermeneutico, di adattare la dottrina millenaria allo sviluppo del presente, senza snaturarsi o sconfessarsi. Perché, come in un gioco di invisibili equilibri dettati dalla geopolitica, la Chiesa, cedendo al nuovo, all’insieme di valori perpetrati dalle Società occidentali, dovrà stare ben attenta, a non cadere in contraddizione con le radici storiche del pensiero cristiano – cattolico, radici che, ora più che mai, sono ben innestate  in altre zone del pianeta dove il pensiero tradizionale resta più intrinseco nella società. Palesato ciò, lo spauracchio dunque è la parola Scisma.

In questo disgregato scenario, su questo altalenante sipario di rivoluzionari e reazionari saranno, negli auspici del Pontefice, i contributi prodotti nel mese scorso, dai 13 circoli (4 in lingua inglese 3 in italiano e francese, 2 in spagnolo e 1 in tedesco) di alti prelati, ad indicare un’unica strada alla Chiesa Romana. Gli auspici in sede di proclamazione dell’evento, restano ben descritti dall’espressione del Cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo, il quale spiegò la necessità dell’adunanza attraverso un laconico “ Dobbiamo guardare più in là”.

Le sfide sono molte. Dalle prime indicazioni, le iniziali divergenze tra i diversi gruppi di lavoro sono state appianate. Il documento finale adottato è costituito da singoli passaggi, che hanno ottenuto la maggioranza dei 2/3 dei voti. Lo stesso documento, avendo carattere esclusivamente consultivo, costituirà un possibile criterio consegnato al Papa per potersi meglio orientare nelle sue scelte future durante il suo pontificato, a cui, comunque, spetterà la parola finale da apporre a qualunque argomento trattato in sede sinodale.images

Durate l’intera seduta qualche segnale di apertura si è potuto riscontrare dal  gruppo tedesco, attraverso un forte atto di auto-responsabilizzazione, un mea culpa nei confronti di ragazze madri, figli illegittimi, conviventi, omosessuali, divorziati risposati. Infatti si legge nel testo: “Nel tentativo mal concepito di sostenere la dottrina” sono stati sostenuti “atteggiamenti duri e spietati che hanno determinato la sofferenza delle persone”. Risulta necessario, sottolineano i prelati tedeschi, “maturare un linguaggio adeguato e rinnovato sulla sessualità”. Ma senza aprire alla teorie gender. “Ogni ideologia che sta provando a rendere il genere un costrutto o una scelta individuale non sarà accettata”, ha sottolineato in conferenza il Cardinale Reinhard Marx.

Nei documenti dei diversi circoli, emerge con toni diversificati anche la questione dell’omosessualità. Il gruppo italiano, il gruppo C,  coordinato dal Cardinale Angelo Bagnasco, invita “ad un approfondimento antropologico sul tema”, il moderatore inglese del gruppo A il Cardinale George Pell (rappresentate della linea conservatrice) invita le famiglie ad accettare le persone che al loro interno manifestino tendenza omosessuali, “raccomandandoli però di insegnarli il valore della castità”.

Concluso l’incontro, il Papa ha ringraziato per il lavoro svolto, ha letto e probabilmente prenderà spunto per eventuali future decisioni. Anche se, da non addetti ai lavori, ma da semplici cittadini credenti o no, non ci sembra di essere in presenza di sconvolgenti novità. Leggendo quanto espresso dai gruppi di lavoro, pare piuttosto tutto fermo e congelato su antiche posizioni ecclesiastiche che probabilmente rimarranno tali anche post-Sinodo. Per due particolari aspetti: il primo di natura squisitamente teologica, in quanto le richieste della moderna società, saranno sempre più discostanti dall’ermeneutica di millenni fa e da chi ne è il custode. Il secondo per scelte di opportunità, dove il “nuovo” grande bacino di utenza, leggasi fedeli, ora è geograficamente dislocato in aree dove la richiesta di tale “modernizzazione dell’Istituzione Chiesa” non è certo una prerogativa, anzi potrebbe risultare solo controproducente ai fini di assoldamento delle anime, che potrebbero “smarrirsi” verso una confessioni in grado di intercettare le necessità più ortodosse di certi territori.

Insomma non è la volontà della parti la sola condizione necessaria a perché due opposte visioni convergano, talvolta le due visioni, entrambe legittime, non potranno mai integrarsi e condividersi perché radicalmente diverse e inconciliabili, o perché non particolarmente interessate a fondersi, perché fuori dall’Europa la parola Scisma echeggia e risuona sinistra fino a Roma.

 

Fotografia in copertina via vaticano.com

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