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Inside The Floating Piers

Oggi 3 luglio 2016 è l’ultimo giorno dell’avventura di Christo al Lago d’Iseo. Dopo un’affluenza ampiamente superiore alle aspettative, The Floating Piers è stato per molti un’avventura e un’occasione lavorativa, nonché la possibilità di vivere il proprio lago attraverso differenti prospettive.

L’opera d’arte non è di certo stata l’esperienza più sensazionale della mia breve esistenza, ma di certo avrà per molto tempo un posto speciale nei miei ricordi. Innanzitutto per la struttura, suggestiva di per sé: nel primo scatto di questo fotoreportage ho fissato il primo contatto con la passerella; il tessuto giallo cambiava colore sotto le nostre scarpe bagnate e il silenzio circostante era assoluto, interrotto solo dalle esclamazioni dei miei colleghi e dal rinfrangersi delle onde. In secondo luogo, perché The Floating Piers non è solo un incrocio di passerelle, ma tutto ciò che le circonda. La natura è di certo uno degli elementi fondamentali della Land Art, Monte Isola è l’approdo dei moli di Christo mentre il sole cambia il colore del particolare materiale utilizzato; anche le acque del Lago fanno la loro parte, adeguandosi alle bizze cromatiche del cielo, il quale non sempre è stato indulgente in queste due settimane di apertura. E poi il pubblico di visitatori, l’altro grande coprotagonista di quest’opera. Dalle famigliole felici, al padrone del cane indispettito per l’obbligo di museruola, fino al silenzioso visitatore straniero. Una massa multiforme di umori e personalità capace, certe volte, di spaventarti di fronte alla sua arroganza e, altre volte, di ripagarti di tutte le fatiche.

The Floating Piers è anche il team di lavoratori che hanno permesso tutto questo. Dai sommozzatori agli skipper, dai bagnini ai monitor. L’artista Christo è il primo a non tirarsi indietro, ringraziando per la nostra infinita energia prima del turno (e non importa se iniziamo all’una di notte). Che ci sia il sole o la luna, sulle passerelle capita raramente di annoiarsi. Ai droni è proibito sorvolare il nostro spazio aereo, meglio lasciarlo libero per eventuali emergenze… quando uno di questi aggeggi viene avvistato in cielo, alcuni del turno mattutino si destano dal loro torpore e, radio alla mano, iniziano una frenetica caccia al drone. Di notte, invece, capita di dover fare i conti con chi vuole attraccare alle passerelle cercando di corromperti con una bottiglia di Franciacorta.

Tra tutto questo, ci sono io con il salvagente da bagnina in una mano e il cellulare nell’altra, nel tentativo di immortalare la moltitudine di attori che ogni giorno ha messo in scena lo spettacolo The Floating Piers.

Christo e Jeanne-Claude, nascondere per rivelare

Ancora pochi giorni e non cammineremo più sulle acque del lago d’Iseo, un’esperienza che ci ha regalato l’opera The Floating Piers di Christo e Jeanne-Claude. La passerella più discussa degli ultimi mesi ha riscosso un grande successo di pubblico ma ha attirato numerose critiche, cominciando da chi si occupa di questo per mestiere. Un’attrazione simpatica, da festa paesana o da parco divertimenti, ma questa non è arte, per Philippe Daverio; addirittura «una passerella verso il nulla», sentenzia Vittorio Sgarbi. Pequod posa lo sguardo su tutta la produzione di Christo e Jeanne-Claude, alla ricerca del senso di un progetto che ha unito i due artisti.

Fred W. McDarrah/Getty Images
Fred W. McDarrah/Getty Images

Era il 13 giugno del 1935 quando James J. Braddock, soprannominato Cinderella-man, protagonista dell’omonimo film con Russel Crowe, vinse il titolo di campione dei pesi massimi dopo un duro incontro al Madison Square Garden; nello steso giorno, nel cuore della Bulgaria, Christo Vladimirov Yavachev, noto come Christo, aprì i suoi occhi sul mondo.
Dopo una breve formazione accademica Christo fuggì dal rigido regime comunista per andare nella più stimolante Parigi dove conobbe Jeanne-Claude Denat de Guillebon, ormai per tutti Jeanne-Claude, anche lei nata in quello stesso 13 giugno del ’35; seppur fresca di matrimonio, pensò bene di lasciare il marito per diventare la compagna di vita dell’artista.
La coppia ha lavorato – o meglio lavora, visto che Christo continua a parlare come se lei fosse ancora viva – in simbiosi: le installazioni che hanno visto la luce, e quelle che ancora devono nascere, sono frutto della mente di entrambi, e questo perché la realizzazione dei loro lavori ha bisogno di molto tempo prima di arrivare a maturazione; ciò che vediamo oggi non è altro che il punto d’arrivo di un percorso di anni.

Comune denominatore alle loro opere è il contrasto, così lampante agli occhi del visitatore; si prenda la tipologia di interventi più celebri, gli “impacchettamenti”: nascondere un edificio o un monumento noto e familiare del paesaggio urbano significa alienarlo dal contesto rimarcandone la presenza e riscattandolo dall’anonimia.
Quelli che vedono un insulto, e ce ne sono tanti, in questo tipo di operazione, intendendola come una censura, commettono un grossolano errore: il vero intento infatti è da un lato quello di nascondere per indurre chi vive un determinato luogo a sentirne la mancanza, per riscoprire il valore di ciò che è stato sottratto; dall’altro lato c’è la volontà di risvegliare nell’osservatore quella curiosità, un po’ infantile, di scoprire, immaginare e svelare ciò che si cela sotto a quell’enorme pacco di stoffa e corde.
In altri termini si potrebbe dire che la coppia ha saputo restituire, con i propri enormi pacchi regalo, pezzi meravigliosi della città e dell’ambiente di cui ci si era dimenticati.

Christo and Jeanne-Claude, "Wrapped Reichstag", Berlino, 1971-95. Photo: Wolfgang Volz.
Christo and Jeanne-Claude, “Wrapped Reichstag”, Berlino, 1971-95.
Photo: Wolfgang Volz.

Anche The Floating Piers è caratterizzata dal contrasto, forse meno apparante, e riguarda la materia e le forze di cui si compone: la fluidità dell’acqua che combatte la rigidità della passerelle e il movimento delle onde del lago, che avversa la naturale immobilità del tessuto e della struttura, sono i contendenti di questo silenzioso confronto.
Lo stesso Christo fornisce un’altra importante chiave di lettura per gran parte del suo operato; egli infatti raccomanda di non cercare nella natura temporanea ed effimera delle sue opere un richiamo alla caducità della vita e al “memento mori” e, piuttosto, suggerisce di ricercare quelle sensazioni più autentiche e concrete che l’uomo può sperimentare ogni giorno: il vento che si manifesta muovendo le corde e la stoffa, il violento infrangersi del mare sulla scogliera australiana protagonista di Wrapped Coast, sono elementi che ci riconducono ad una dimensione originaria e originale della nostra esistenza, lontana dal mondo virtuale in cui siamo immersi.
Christo e Jeanne-Cloude sono quindi artisti della Rivelazione, la loro grandezza risiede nel saper descrivere ciò che ci circonda senza parlarne direttamente ma attraverso il percorso opposto: nascondendo e stimolando il pubblico ad intuire da sé ciò che loro hanno in realtà intenzione di mostrare.

"Wrapped Coast", Sydney, 1969
“Wrapped Coast”, Sydney, 1969

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