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Uno, dieci, cento voucher

Negli ultimi anni i giovani lavoratori hanno imparato a conoscere bene i voucher, come abbiamo detto qui. Soprattutto dal 2012, quando l’estensione del loro utilizzo a svariati settori li ha resi dei veri e propri sostituti di contratti di lavoro a tempo determinato. Certo, spesso questa formula è più vantaggiosa per il datore di lavoro che per il lavoratore, tuttavia nel concreto i voucher rappresentano la tanto attesa retribuzione, denaro vero ricevuto in cambio del proprio lavoro.

Abbiamo chiesto ad un po’ di ragazzi in quali occasioni hanno ricevuto dei voucher; ci hanno raccontato che spesso si trattava di lavori occasionali, come servizio hostess a fiere ed eventi per le ragazze e distribuzione di volantini per i ragazzi. Altre volte ancora ad essere retribuiti tramite voucher sono stati però lavori fissi, seppure a tempo determinato: camerieri, assistenti alla poltrona in studi medici, segretarie… Seppure scontenti della formula di contratto, o meglio, di non contratto, tutti sono stati d’accordo sul fatto che almeno i voucher rappresentavano un compenso assicurato: 10 euro lordi, 7,50 euro netti per ciascun buono elargito dal datore di lavoro. E quando finalmente avete riscosso quanto vi spetta e trasformato i voucher in contanti realmente spendibili, cosa potete acquistare? Ecco qualche suggerimento…

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Fate l’amore, non fate lo stage. Intervista a Repubblica degli stagisti

Ormai è risaputo: il mondo del lavoro è diventato un po’ strano, soprattutto per i giovani. Peggio se appena usciti da un’università e con una sudatissima laurea in mano. Strane sono diventate le aziende, i vari datori di lavoro e strani sono diventati i contratti proposti. Sia chiaro, non è possibile avere il posto fisso se prima non si impara un po’ il mestiere – con “imparare il mestiere” si intende lavorare otto ore al giorno (anche di più se contiamo gli straordinari) per cinque, sei ma anche sette giorni su sette a settimana e con una paga da fame.

Sì, stiamo parlando dei fantomatici STAGE, tipologie contrattuali che spesso i datori di lavoro propongono a ragazzi con poca esperienza in ambito lavorativo e che dovrebbero (necessario l’uso del condizionale) consentire un primo inserimento nell’azienda in vista di una futura assunzione. Come sempre più spesso accade, però, non va tutto secondo i piani. Lo stage si rivela un modo per assumere dipendenti nuovi quasi a costo zero, con l’unico scopo di sfruttarli fino all’osso per poi non riassumerli a fine contratto. È in questo contesto che nasce il giornale online Repubblica degli stagisti il cui scopo è quello di approfondire la tematica dello stage in Italia e dare voce agli stagisti come si evince dal loro sito.

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«Repubblica degli stagisti è nata nel 2007 come blog e dopo due anni si è trasformata nella testata che è oggi», spiega Eleonora Voltolina creatrice e direttrice della webzine. «Offriamo uno strumento attraverso cui i giovani possano informarsi sulle novità del mercato del lavoro ma dedichiamo anche una sezione alle aziende informandole su come possano rivolgersi al meglio ai giovani in vista di un’assunzione», continua Eleonora. Tutto ciò è frutto di una grande intuizione giornalistica e sociale: «prima di dar vita alla Repubblica degli stagisti ero reduce da ben cinque stage, così intorno ai 27-28 anni ho deciso di dar vita a questo progetto, anche perché mi sono accorta che il mio non era un caso isolato».

Per il futuro sono previste alcune novità: quella più importante, sicuramente, è il target internazionale che la testata sta progettando di darsi. A parlare è ancora Eleonora Voltolina: «l’internazionalità è un tema che ci sta molto a cuore, infatti nei prossimi anni speriamo di riuscire a rivolgerci anche a giovani non italiani, magari con articoli in inglese, proprio perché la disoccupazione è un problema che riguarda moltissimi Paesi avanzati, non solo l’Italia». Interessante è anche l’idea di poter entrare in contatto con le scuole superiori, in modo da poter intercettare i giovani che sono in procinto di terminare gli studi così da orientarli verso la scelta di una facoltà universitaria.

Alla luce dei fatti si può tranquillamente dire che il progetto ha colpito perfettamente nel segno: con più di 12.000 ‘’Mi piace’’ su Facebook e circa 100.000 lettori giornalieri, Repubblica degli stagisti è diventato un ottimo network su cui informarsi per quanto riguarda il mercato del lavoro, soprattutto quello giovanile.

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Ma come si pone Repubblica degli stagisti di fronte alle varie riforme del lavoro che si sono susseguite negli ultimi anni? Specifichiamo: come ci ha spiegato Eleonora Repubblica degli stagisti non si è mai sottratta al dialogo, anzi, negli anni ha dato voce alle varie critiche accompagnate da proposte alternative di miglioramento. Il succo della questione è che il lavoratore va sempre tutelato: «a una riforma radicale del mercato del lavoro e l’istituzione di tipologie contrattuali meno stabili, deve sempre corrispondere una riforma del welfare che aiuti il lavoratore che avesse perso il lavoro in una nuova ricerca dello stesso sostenendolo il più possibile» ci ha illustrato Eleonora. Ciò genera il problema, ad esempio, che molto spesso i giovani italiani “escano di casa” ma siano costretti a rientrare a causa delle difficoltà economiche dovute alla scarsa stabilità economica. Da questo punto di vista, l’attenzione all’abuso di tipologie contrattuali deboli inerenti la stabilità è un altro punto forte della testata.

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Quindi giovane lavoratore e posto fisso è un connubio impossibile? Bella domanda. La risposta è incerta così come incerto è il mercato del lavoro in questi ultimi anni. Forse le generazioni future saranno più fortunate di noi. Si spera. Intanto rimaniamo in balìa del nostro burrascoso presente.

Muoversi oggi nel mondo del lavoro: tra voucher, stage e contratti atipici

Orientarsi nel mondo del lavoro di oggi, regolato da contratti atipici e di formazione, è una sfida che impegna non pochi sforzi: un vero e proprio viaggio alla ricerca di informazioni circa diritti e spettanze del lavoratore. Contratti di lavoro interinale, di apprendistato, formativi sono stati introdotti allo scopo di combattere le forme di lavoro irregolare che abbondano nel nostro Paese. L’intento era di ridurre la realtà del cosiddetto free riding: l’usufrutto di beni pubblici, senza che si abbia pagato per il loro utilizzo. Il fenomeno è diffuso e complesso e, come tale, lo è anche il disegno di governance della politica di emersione, che implica una particolare visione d’inclusione sociale, non intesa come semplice assistenza a imprese e lavoratori, ma come un’occasione di partecipazione in termini occupazionali.

Purtroppo, anche se le intenzioni sono buone, non sempre i risultati sono positivi: smisurata complessità legislativa e eccessiva precarietà del lavoro. Alla precarietà corrisponde una continua rioccupazione in lavori nuovi, il passaggio tra vari settori lavorativi e, di contro, una certa paura nel lasciare una condizione di occupazione stabile. Il viaggio del lavoratore italiano è perciò colmo di svolte e imprevisti, ma è spesso svuotato di sogni e aspirazioni.

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Negli ultimi mesi anch’io mi sono gettata nel marasma burocratico creato dalle leggi che regolano i rapporti di lavoro: provo a dare una svolta alla mia vita, vagliando la possibilità di conciliare il mio lavoro part-time con un’attività che metta a frutto la mia laurea nel cassetto. Prima tappa del mio tour è l’accessibile e vicina rete informatica, che abbonda sia di fonti ufficiali sia di esperienze informali. Purtroppo la prima reazione alle testimonianze condivise sul web è di totale sconforto: numerosissimi i precari non più giovani che esibiscono curriculum di svariate pagine, ricoperte di elenchi di contratti a tempo determinato. Non di maggiore aiuto sono i siti legislativi ufficiali: le leggi che disciplinano i rapporti di lavoro e di formazione variano con molta frequenza e in alcuni casi sono differenti tra regione e regione. Un caso eclatante è la disciplina che regola il compenso degli stagisti: dal 2013, per i tirocini extra-curriculari, ovvero quelli formativi, di inserimento o reinserimento, per disoccupati, neo-laureati e disabili, esiste l’obbligo di riconoscere allo stagista un rimborso spese. Tuttavia ogni Regione ha recepito la normativa a suo modo ed esistono differenze oscillanti tra i 200 e i 300 euro.

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Un comparto a sé è rappresentato da tutte quelle prestazioni pagate sotto forma di voucher. Il pagamento in voucher, detto anche buono lavoro, rappresenta la remunerazione per una particolare modalità di prestazione lavorativa definita accessoria: non è riconducibile a contratti di lavoro in quanto svolta in modo saltuario. Questa formula è quella che più specificatamente è nata con l’intento di regolamentare e tutelare situazioni non disciplinate: contratti di prestazione occasionale, in molti casi stipulati in seno alle famiglie, tanto come assistenza di minori e anziani quanto nel ramo del turismo. Il valore netto di un voucher da 10 euro nominali, in favore del lavoratore, è di 7,50 euro e corrisponde al compenso minimo di un’ora di prestazione. Il voucher garantisce la copertura previdenziale presso l’INPS e quella assicurativa presso l’INAIL.

Durante la mia ricerca mi imbatto di rado in offerte di lavoro che specificano che la modalità di pagamento sarà in buoni lavoro. Tuttavia la situazione italiana rivela come, nella realtà, i buoni lavoro siano notevolmente diffusi e utilizzati come sostitutivo per contratti di lavoro a tempo determinato, soprattutto dopo la riforma del lavoro del 2012, che ha esteso il loro utilizzo a tutti i settori lavorativi. Nella mia condizione di lavoratrice part-time il buono lavoro sarebbe una buona alternativa: potrei conciliare un contratto indeterminato al pagamento in voucher, a patto di non superare una certa soglia di guadagno annuale, che cambia a seconda del settore.

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A stuzzicare la mia curiosità è nel frattempo un link che rimanda a uno stage. Provo a vagliare anche questa possibilità, aprendo pagine su pagine di proposte lavorative per neo-laureati, presentate in toni clamorosi da pubblicità e ricche più di requisiti richiesti che di informazioni sull’impiego. Contatto qualche numero disponibile; in risposta ottengo valanghe di domande: «Età? Famiglia? Esperienze? Hai già intrapreso uno stage? Un apprendistato? Hai superato la soglia di remunerazione in prestazioni occasionali?».

Tra una chiamata e l’altra, scovo un paio di stage che sembrano in linea con quello che cerco, ma in effetti i miei sforzi telefonici per avere un’idea chiara dei contratti che mi sono proposti non producono frutti. Il telefono è ancora nelle mie mani, penso allora di comporre il numero di qualche ufficio preposto a fornire informazioni sull’argomento. Lunga la lista: centri per l’impiego, sindacati, assessorati alle politiche giovanili, sportelli informa-lavoro. A domande specifiche circa la possibilità di portare avanti, in parallelo, un lavoro part-time e uno stage formativo le risposte sono discordanti e insicure: il buonsenso dell’operatore, circa la necessità di avere un altro reddito per compensare la retribuzione dello stage, si scontra con la legge che, di fatto, non permettere di avviare uno stage se si ha già un contratto a tempo indeterminato.

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Chiudo la ricerca e rimetto la mia laurea nel cassetto, in attesa di nuove norme che mi permettano di sfruttarla. Gli ultimi anni hanno visto infatti la comparsa di numerosissime nuove tipologie retributive, volte a regolare prestazioni di lavoro solitamente remunerate tramite pagamenti “a nero”; è un segnale positivo sia dell’impegno di una parte della politica, sia di una rinnovata coscienza comune che condanna i rapporti di lavoro che mancano di regolamentazione fiscale. Purtroppo i buoni propositi e il cambiamento culturale in atto sono messi a dura prova: dalle difficoltà che si incontrano nel districarsi tra la regolamentazione dei contratti atipici e dall’impressione che l’ago della bilancia punti solo in direzione delle aziende, che risparmiano considerevolmente sul costo del lavoro. Non da ultimo, per poter fare uno stage e riuscire a mantenermi, sarei costretta ad accettare lavori non regolamentati da un contratto, vista la poca remunerazione dei primi, e l’abbondanza dei secondi. Non resta che la speranza nelle proprie capacità, a spingere i lavoratori italiani a rimettersi in viaggio.

Stage, ingegneri e “letterati” a confronto: la formazione fa la differenza

Due mondi paralleli?

Giorgio ha 22 anni e una grande passione per auto e motori, perciò studia Ingegneria meccanica. Quello stesso trasporto Laura, 27 anni, lo provava per i libri e «tutto ciò che è complesso e bello», così ha conseguito una laurea magistrale binazionale in Filologia moderna.

Sara ha appena concluso all’estero i suoi studi di Ingegneria tessile, un percorso tanto settoriale quanto affascinante; Alessandra si è laureata da due anni e sfrutta le sue competenze letterarie nel campo del giornalismo.

Raccontate così, le storie di Giorgio, Laura, Sara e Alessandra non sembrano tanto diverse tra loro, se non per la scelta della Facoltà, che fa la differenza nel mondo del lavoro (e che differenza!): il rapporto 2016 del Consorzio Interuniversitario sulla condizione occupazionale dei laureati ci ricorda che tra chi ha seguito Ingegneria gli assunti sono il 65%, mentre i laureati in ambito letterario spiccano per una disoccupazione pari al 30% nonostante i continui corsi di formazione.

Il mercato del lavoro, si sa, segue le leggi del profitto e il nostro è uno dei pochi Paesi in cui è ancora diffusissimo il pensiero secondo cui “la cultura (almeno quella umanistica) non dà da mangiare”. Ma questa dicotomia tra ingegneri e umanisti sembra appianarsi un poco nel limbo che tutti (o quasi) accoglie, quello dello stage.

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Dal rapporto 2016 del Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea.

Great expectations

Laura mi parla di amici iscritti ad Ingegneria che hanno svolto stage gratificanti con ottime possibilità di assunzione. L’esperienza di Sara, in effetti, non la smentisce: nei suoi tre stage curricolari presso aziende tessili si è occupata di marketing e analisi di processo, proprio come desiderava. «Sono pienamente soddisfatta dell’esperienza acquisita, è un ottimo modo per applicare le conoscenze in modo concreto e per approcciarsi alla realtà aziendale».

Sara è stata affiancata durante tutto il periodo delle attività, sviluppando progetti molto interessanti. Così è stato anche per Alessandra, che al terzo anno di Lettere ha scoperto il lavoro dell’ufficio stampa in una grande casa editrice: «Mi occupavo autonomamente della rassegna stampa mattutina: se non finivo io, nessuno poteva iniziare a lavorare in ufficio. Mi piaceva molto perché sentivo di contribuire all’ingranaggio editoriale e tutti erano pronti ad aiutarmi».

Per la tesi magistrale, Giorgio sta pensando a un progetto accompagnato da stage in azienda. «Avrei solo un contributo spese, ma essendo un progetto per la tesi non mi lamento. Semmai, non trovo corretto lo stesso contributo spese per stage di 6-7 mesi, in cui alcuni miei colleghi sono partecipi dell’attività dell’azienda 8 ore al giorno per 5 giorni a settimana…». E così, tanti vanno all’estero oppure stanno a casa «cercando un’offerta migliore dei “300 euro al mese più mensa aziendale”».

Insomma, non per tutti finisce bene, e non solo tra i “letterati”. «Io sono stata fortunata», ammette Sara.

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diversamenteoccupati.it

Il ruolo dell’università

Abbiamo già parlato degli scarsi investimenti degli atenei italiani per la formazione dei suoi studenti, che in merito agli stage deludono una volta di più non tanto perché non assicurano la certezza di rimborsi spese adeguati, ma perché spesso non forniscono opportunità adeguate ai loro desideri e alle loro esigenze. Come dire, la formazione è importante, ma “si può dare di più”. E questa è una percezione trasversale, anche tra chi segue studi così differenti.

«Anche per gli ingegneri ci sono stage sfruttati dall’azienda per ottenere le prestazioni desiderate a minor prezzo e senza vincoli. Vecchio e sempre attuale discorso», osserva Sara. Alessandra parla per esperienza diretta: «Nei tre mesi di stage ho ricevuto solo 3 crediti formativi, nessun rimborso spese. Per lo stesso periodo hanno cercato due stagiste con le stesse funzioni: a che scopo? Allora, penso, lo stage era solo una formalità per coprire dei “buchi”».

Per Laura l’iter è stato più macchinoso. Voleva lavorare nell’editoria, ma già al primo stage curricolare ha dovuto adeguarsi. «Dopo molte ricerche e nessuna collaborazione da parte dell’Università (la stessa “casa editrice universitaria” non ha voluto accettare stagisti), ho accettato la proposta della conservatrice di Italianistica che mi conosceva». Una collaborazione con l’archivio dell’università di Grenoble è cosa prestigiosa, ma non era quello che desiderava. «Nessuno dei miei colleghi ha svolto attività adeguate alle proprie aspettative e scelto stage meno formativi ma più accessibili, in librerie o simili. In ogni caso tutti gli stage sono stati individuati dagli studenti, non dall’Università, che si limita a certificare i tre crediti più o meno per qualsiasi cosa».

La stessa storia si ripete quando, neolaureata, sceglie di svolgere uno stage postlaurea come insegnante di italiano e francese a Meru, in Kenya: Laura trova lo stage, convince segretarie e infine riesce a certificare la sua esperienza. «Il progetto prevedeva una relazione finale ma, ovviamente, l’Università non se ne è mai interessata».

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Stage: una formalità o una questione di qualità

Giorgio è il più giovane tra le persone che ho intervistato, ma ha le idee chiare su cosa potrebbe aiutare il nostro Paese a sciogliere il binomio stage-precarietà: «Posso capire che i neolaureati non sappiano fare in pratica ciò che nel mondo del lavoro si richiede. Gli studi accademici offrono poche occasioni di fare lavori pratici, per quanto riguarda Ingegneria. Io aggiungerei dei crediti formativi di laboratorio per iniziare a prendere confidenza con le attrezzature tecniche. Ma è importante dare un incentivo all’impegno e una motivazione ai fini di assunzione».

Le sue osservazioni non si discostano così tanto da quelle di Laura, che oggi è un’insegnante. «Gli stage sono esperienze utilissime perché quando si esce dall’ambiente universitario si è davvero inesperti. Credo sia giusto inserirle già all’interno della formazione scolastica e che debbano accompagnare i giovani fino ai sei mesi dopo la laurea. Dopodiché, l’attività non si chiama più “stage” ma “lavoro”, e dovrebbe essere retribuita dignitosamente».

Una preoccupazione diffusa tra studenti ed ex studenti, siano essi ingegneri o “letterati”, è che la definizione di stage si allarghi fino a comprendere attività di qualsiasi tipo, a patto che siano poco retribuite e si rimbalzino giovani sempre più qualificati ma sempre più precari. «È un dato di fatto – constata Laura – Il punto è: come risolvere? Siamo in ritardo per questo “appuntamento” con i nostri diritti?».

In copertna ph. Cade Martin, Dawn Arlotta, USCDCP (CC0 by Pixnio).

Memorie di stagisti: la generazione del “fa curriculum”

Tirocini di formazione, stage finalizzati all’inserimento in azienda, internship non retribuiti in istituzioni prestigiose… la generazione choosy ha senz’altro l’imbarazzo della scelta per impiegare il proprio tempo dopo la laurea. Certo, di guadagnare qualcosa non se ne parla, ma si sa che ormai l’imperativo categorico che guida le scelte dei neolaureati, così come quelle di chi l’università l’ha finita da un pezzo, è quello del “fa curriculum”. Lavori dodici ore al giorno in un ufficio dove ti trattano come l’ultimo dei falliti, ti riempiono di faccende da sbrigare, per lo più rognose, senza la premura di spiegarti come fare? Non importa, sopporta, perché tutto fa curriculum! Gli sforzi e le vessazioni subite saranno ripagate durante i futuri colloqui, quando l’impiegato delle Risorse Umane, impressionato dalla serie di esperienze formative collezionate, ti proporrà un nuovo tirocinio di sei mesi. Ormai la tua vita funziona a semestri e il tuo conto corrente a rimborsi spesa, se sei fortunato.

Certo, generalizzare è sempre sbagliato, ed è giusto precisare che esistono realtà virtuose in cui fare uno stage rappresenta un’opportunità per imparare una professione e trovare un vero posto di lavoro. Ma si tratta purtroppo di pochi casi, anzi pochissimi. È bene sapere che in Italia solo uno stagista su dieci viene assunto dopo lo stage, mentre negli altri nove casi si tratta dei cosiddetti stage rolling, quelli cioè che non sono volti all’assunzione ma per cui lo stagista si rinnova ogni sei mesi, secondo il noto proverbio “morto uno stagista se ne fa un altro”.

trampolinodilancio.com
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Sono proprio questi stage a rotazione ad alimentare lo stereotipo, tristemente autentico, dello stagista sfruttato e maltrattato. Le testimonianze di alcuni ex-stagisti e le indiscrezioni di chi tuttora sta svolgendo un tirocinio hanno contribuito a stilare un elenco di caratteristiche fondamentali che lo stagista-a-scadenza farebbe meglio ad avere per resistere ai sei mesi di volontariato che lo aspettano.

Lo stagista non ha un nome

Giulia racconta che durante il suo stage le veniva rivolta poco la parola: funzionavano meglio le e-mail, che a decine intasavano la sua casella di posta con richieste di cose da fare, tutte urgenti. Ricorda che spesso leggeva il suo nome storpiato in “Gulia” o “Giula” e che quando il suo responsabile, con cui aveva a che fare ogni giorno per almeno otto ore, le rivolgeva la parola la chiamava “Valentina”, “Giada”, “Enrica”… Quasi preferiva quando semplicemente i colleghi dell’ufficio evitavano di interpellarla direttamente, col rischio di sbagliare nome, ma si limitavano ad alludere alla sua presenza con un più neutrale “la stagista”: «Ah, viene anche la stagista alla riunione?»

Lo stagista non sa fare nulla, ma deve sapere fare tutto

Dopo meno di un mese in azienda Carlo viene mandato in trasferta alla ricerca di clienti. Un’enorme opportunità, certo, ma forse una decisione un po’ avventata, visto che per tre mesi avrebbe dovuto viaggiare per la Cina vendendo un prodotto di cui sapeva poco o niente. Perché è ovvio, i suoi capi erano d’accordo sul fatto che lui, non avendo mai lavorato in ambito commerciale, non sapesse nulla di vendita, di marketing o di strategie di mercato, ma allo stesso tempo nessuno di loro si era preso la briga di seguirlo e formarlo a dovere. Così Carlo, senza alcuna competenza acquisita grazie al suo fantomatico “stage di formazione”, si è ritrovato da solo a gestire nuovi clienti e a cercare di convincerli della competitività dei prodotti venduti dall’azienda raccontando loro improbabili aneddoti, suggeritigli dai suoi capi italiani. Insomma, anche l’arte di arrangiarsi è una competenza da inserire nel curriculum.

west-info.eu
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Lo stagista non dovrebbe bere il caffè

Nel reparto di Giulia i colleghi-non-stagisti si concedevano lunghe pause caffè nella sala relax dell’ufficio, dove c’era una scintillante macchinetta del caffè funzionante a cialde. Nel frattempo le stagiste erano pronte a rispondere alle loro chiamate. Strano ma vero, Giulia e le altre stagiste non potevano accedere alla stanza del caffè, ma per concedersi una pausa dovevano uscire dall’ufficio e recarsi al distributore di bevande calde nel corridoio del loro piano. Niente di grave, è piacevole sgranchirsi un po’ le gambe quando si sta tutto il giorno seduti alla scrivania. Il problema si presentò un giorno in cui Giulia e altre tre colleghe, tutte in stage, presero la decisione di andare insieme a bere un caffè. Al ritorno, dopo cinque minuti, trovarono la segretaria dell’ufficio imbestialita perché in loro assenza nessuno aveva risposto al telefono! Poco tempo dopo i dipendenti dell’azienda (e gli stagisti) ricevettero un’e-mail dalle Risorse Umane in cui si vietavano le pause caffè di gruppo alle macchinette distributrici nei corridoi.

Lo stagista non deve essere entusiasta e deve parlare a bassa voce

A soli ventidue anni Sara era entusiasta di essere stata selezionata per uno stage in una prestigiosa azienda. Il lavoro le piaceva così tanto che spesso portava a termine le sue mansioni prima del previsto. Ma quando chiedeva se potesse essere utile in qualche modo, le veniva risposto che no, le altre faccende da sbrigare erano fuori dalla sua portata. Quindi Sara rimaneva per ore a fissare lo schermo, rispondendo solamente alle chiamate che la sua responsabile non aveva voglia di gestire. In alcuni casi le veniva chiesto di abbassare il tono di voce mentre parlava al telefono, nonostante la capa, colei che le faceva questa richiesta, passasse molto tempo in ufficio a canticchiare, impedendo alle persone attorno a lei di concentrarsi. Alla fine del periodo di stage (ovviamente non finalizzato all’inserimento, ma ripagato con un utilissimo gadget con il marchio dell’azienda) la responsabile ha detto a Sara che era stata davvero molto brava, ma che se avesse dovuto trovarle un difetto, quello sarebbe stato il suo eccessivo entusiasmo. Giovani che vi affacciate al mondo del lavoro, non siate entusiasti, non ce n’è proprio nessun motivo.

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Lo stagista puzzerà sempre di stagista

Roberta ama il tirocinio che sta facendo e ha un ottimo rapporto con i suoi superiori, i quali ripongono molta fiducia in lei, tanto che qualche mese fa le hanno affidato la preparazione di un discorso in inglese da tenere durante un evento aziendale rivolto ai dirigenti stranieri. Per questo discorso Roberta aveva studiato alla perfezione il catalogo dei prodotti, aveva tradotto termini tecnici, aveva scelto accuratamente un abito elegante e si era messa i tacchi. Del resto, i suoi capi avevano insistito molto sul dress-code. Arrivata in azienda il giorno dell’evento, si reca subito nella sala dove avrebbe dovuto tenere il suo discorso, ma i superiori, palesemente imbarazzati, le dicono che “per ora non c’è bisogno di te, torna pure in ufficio.” E in ufficio Roberta passa il resto della giornata, da sola, per poi scoprire che sì, avrebbero avuto bisogno di lei, ma che le Risorse Umane avevano vietato la presenza di stagisti all’evento.

Che conclusioni si possono trarre da questa serie di esperienze? Con un po’ di rabbia e amarezza prendiamo atto che in Italia la gerarchia e gli interessi ai piani alti hanno molta più importanza di capacità, istruzione e buona volontà. Ma siamo anche sicuri che la “Generazione Stage”, forte di tutte le difficoltà che si trova a dover fronteggiare e degli ostacoli che deve superare, stia crescendo sempre più forte e disposta a tutto pur di farsi valere e di far riconoscere il proprio valore.

 

Fotografia in copertina Mohamed Hassan (https://pxhere.com/it/photographer/767067)

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