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Cibo, lo street artist che copre le svastiche con i muffin (e non solo)

L’idea di alzarmi questa mattina presto per poter intervistare lo street artist Cibo non mi pesa per niente, anzi. È in Thailandia per lavoro e la nostra chiacchierata deve tenere conto delle sei ore di fuso orario.

Seguo Cibo, nome d’arte del veronese Pier Paolo Spienazzè, da quando ho cominciato a notare i suoi formaggi, frutti e tranci di pizza che riempivano vivacissimi i muri di San Giovanni Lupatoto, attivo comune alle porte di Verona.

Inoltre, i suoi video, in cui ricopre le brutture e le svastiche, sono diventati virali sul web.

Il suo ultimo lavoro, il murales che ricopre la facciata dei magazzini della Cooperativa agricola Apo Scaligera è con i suoi 1100 mq il più grande del Veneto.

Buon giorno, intanto devo chiamarti Cibo o Pier?

(Ride) Visto che m’intervisti come Cibo restiamo nella parte.

Cosa stai facendo adesso in Thailandia?

Beh, sono ospite di italiani e ricambio la loro accoglienza facendo murales. Ne approfitto per disegnare tutta la frutta che c’è qua: il mango, il dragon fruit, le banane. Insomma, sto sull’argomento visto che io da sempre sono legato al territorio. Inoltre, faccio ricerca per il prossimo lavoro che avrò a Marsiglia, che sarà proprio la cucina thailandese.

Torniamo in Italia e parliamo dei tuoi disegni. Da dove parte la tua arte? Dove hai imparato a disegnare?

Beh, io ho fatto il liceo artistico e poi disegno industriale del prodotto. Tecnicamente sarei un designer. Con l’unica eccezione che sono ventuno anni che faccio arte in strada e questo nessuna scuola te lo può insegnare.

Perché proprio il cibo?

È nato quasi per scherzo. Mi serviva qualcosa che avesse tutti i colori e proprio nel cibo ho trovato tutti gli accostamenti cromatici possibili. Tranne l’azzurro. Infatti, lo sfondo dei miei murales è azzurro.

La gente poi ha apprezzato molto, anche perché, se fai arte pubblica, devi essere un po’ “pop”. Essendo la tua tela la strada, devi intercettare la passione che c’è nella gente. In questo modo l’opera la sentono un po’ loro. Infatti, per me il lavoro è finito quando faccio la foto al murales, poi la mia opera diventa di tutta la comunità.

Io lego molto le mie opere al territorio. Per esempio, alla Mambrotta (località della provincia di Verona nota per la coltura dell’asparago bianco, ndr) ci sono gli asparagi, io disegno gli asparagi. Ho questo tipo di relazione perché così la gente si può identificare nei miei graffiti.

La tua arte si è legata a una missione. Sono famosi su Facebook i tuoi video in cui copri le svastiche con angurie, muffin o altro. Questa idea è nata in un secondo tempo?

In verità sono dieci anni almeno che copro svastiche. Ho cominciato quando hanno ucciso Nicola Tommasoli (studente veronese ucciso da un gruppo di giovani di estrema destra il primo maggio 2008, ndr) che era all’Università con me. Ho deciso di mettere i video sui social per senso civico. Perché l’idea andava condivisa. Volevo che altre persone scendessero in strada e facessero altrettanto. Magari in altre città, ognuno con il suo linguaggio. Io identifico Verona e la sua provincia con il cibo, perché è agricola. A Milano questo non avrebbe lo stesso significato. Bisogna che gli artisti trovino il linguaggio adatto al loro territorio.

Ma come hanno reagito a questa tua attività?

Molto male. Mi hanno sporto denunce molto pesanti, cercano di ostacolarmi in tutti i modi. Più che altro mi stupisce perché vogliono attaccare proprio me. Io ho sempre disegnato gratis per gli asili, ho sempre cancellato le scritte senza chiedere nulla. Io riesco ad affrontare una situazione come questa con il sorriso, la democrazia e la cultura. Però non tutti ne hanno la capacità o la forza. Se capitasse a un mio collega, che gli cancellassero trenta murales, lui rischierebbe di chiudere, di sparire. E se una comunità perde un artista, questo è un danno irreparabile per tutti. Non ricordo chi l’ha detto che la legge della relatività, se non l’avesse scoperta Einstein, l’avrebbe scoperta qualcun altro cent’anni dopo, invece Guernica, se non l’avesse dipinta Picasso, non ci sarebbe riuscito nessun altro.

Sentiamo in giro dire spesso “tanto votare non serve” ma tu, solo facendo disegni sui muri, hai innescato tutta questa spirale di eventi. Mi viene da chiedere se al giorno d’oggi ha senso fare questo?

Certo che ha senso. Ha senso per Nicola, ha senso per le ingiustizie che ho vissuto, ha senso per la comunità. Ricevo centinaia di foto di gente che cancella le svastiche e le celtiche nelle loro città. Ci sono moltissimi artisti che lo fanno. Io sono diventato involontariamente simbolo di questa lotta. Bisogna educare le persone a dire la propria opinione e a non essere indifferente di fronte ai soprusi. Ognuno può fare la differenza anche ribattendo a una frase ingiusta detta al bar. Non bisogna stare zitti, perché l’odio prospera nell’ignavia della gente.

Un’ultima domanda, Cibo, ti ricordi il primo cibo che hai disegnato?

(Ride) Il primo cibo mi sa un formaggio, un Montasio sei mesi. Uno dei miei formaggi preferiti assieme al monte Veronese. Era a Treviso, ancora dieci anni fa.

 

Foto tratte dalla pagina Facebook di Cibo, tutti i diritti riservati.

Art Brut, arte di tutti e creata da tutti

Negli anni Sessanta prende piede il termine Underground per definire un movimento culturale e artistico, nato nel secondo dopoguerra in risposta alla società di consumi che si andava delineando, movimento che con forza, talvolta esagerata, si oppone al mainstream, alla cultura tradizionale e ufficiale, alle mode predominanti, e decide di utilizzare strumenti di comunicazione ed espressione alternativi, insoliti e anticonvenzionali, facendo propria l’idea della controcultura, ossia di una filosofia di vita contraria all’establishment dominato dal denaro e dal successo.

È così che esplodono l’arte, l’editoria, la musica, la letteratura e il cinema underground, mossi da un senso di ribellione, di protesta, dal bisogno di volersi esprimere liberamente senza regole, al limite del buon costume e della buona educazione con una nota di trasgressività mista a chiara e fredda provocazione.

Questa cultura sotterranea risponde a un bisogno umano e sociale: è la risposta di una generazione (e di generazioni) alla ricerca di un’area di appartenenza e di un’identità allargata e condivisa in cui potersi riconoscere per sentirsi partecipi della storia.

 

 

Il Graffitismo e l’Aerosol Art di Jean-Michel Basquiat e di Keith Haring, la cultura hip-hop, il fumettismo, la Street Art di Banksy, Blue, Ericailcane, JR sono alcuni dei tasselli che compongono le infinite sfaccettature dell’arte underground; un’arte che si fonda sul principio per cui chiunque è e può essere un artista in quanto l’arte è di tutti e creata da tutti.

Questo stesso principio era stato espresso nel 1945 da Jean Dubuffet con l’Art Brut, un’arte che opera fuori dagli schemi e al di fuori di ogni tipo di istituzione culturale ed economica e che trova la sua espressione autentica nella necessità di raccontare se stessi e il mondo nella più totale libertà, ignorando i linguaggi ufficiali dell’arte e della critica. Dubuffet era attratto dall’arte dei bambini, degli alienati e di tutti coloro il cui istinto creativo non era imbrogliato dalle norme della ragione. Guardava infatti tanto alla pittura infantile e primitiva di Paul Klee, quanto al pensiero antirazionalista di Jean Jacques Rousseau e al mondo dell’inconscio portato a galla dai surrealisti.

«Non soltanto ci rifiutiamo di portare rispetto unicamente all’arte culturale e a considerare inferiori le opere che sono presentate in questa mostra, perché anzi noi riteniamo che queste ultime, frutto della solitudine e di un puro e autentico impulso creativo (ove non interferiscano aneliti di competizione, di applauso e di promozione sociale), sono più preziose di ciò che producono gli artisti professionisti» scrisse Dubuffet in merito alla mostra che nel 1967 organizzò a Parigi al Musée des Arts Décoratifs.

Vennero esposte numerose opere di circa 135 “artisti” di Art Brut, “artisti” che erano malati di mente, vecchi, proletari, eremiti, pittori autodidatti che usavano metodi anticonvenzionali e lontani dal mondo accademico per creare quadri, sculture e composizioni.

 

Jean Dubuffet, Theatre De Memoire, 1977

 

 

L’Art Brut e Jean Dubuffet diedero in tal modo inizio non solo a un nuovo modo di fare e concepire l’arte, ma contribuirono ad aprire la strada all’arte terapia, un interessante e delicato strumento non verbale grazie a cui si può esprimere il proprio mondo interiore.

Questa tecnica ha due distinti pubblici a cui riferirsi: uno più generico in cui chiunque, dal pittore autodidatta all’appassionato d’arte, dalla casalinga al manager può rientrare; questo target durante il laboratorio viene chiamato a esprimersi in totale libertà, a elaborare creativamente le proprie emozioni con l’ulteriore scopo di eliminare ansia, stress e conflitti.

L’altro pubblico, invece, ben più complesso e fragile, è quello dei servizi psichiatrici e per le disabilità, delle strutture per l’adolescenza, dei centri di riabilitazione, degli istituti penitenziari e dei centri diurni di ricovero per anziani. Un esempio a tal proposito è l’Atelier di pittura dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Castiglione delle Stiviere, nato nel 1990 sotto la guida artistica di Silvana Crescini. I pazienti, ognuno col proprio tempo e spazio, dipingono tele, scrivono poche righe sull’opera, provando e successivamente imparando a esprimersi secondo il linguaggio non verbale dell’arte e a far emergere il proprio mondo interiore, i propri sentimenti e i propri pensieri.

Il laboratorio in tal modo si accresce di un valore terapeutico, riabilitativo, sociale e comunicativo grazie anche al continuo appoggio e sostegno di un’equipe di medici e psicologi con cui si collabora e si creano i programmi ad hoc. Di certo non è un lavoro semplice e rapido, bensì richiede tempo e fiducia non solo in se stessi, ma anche in colui o colei che guida l’atelier pittorico.

 

Le Fabuloserie a Dicy, Francia

 

Un collezionista che mostrò un certo interesse verso l’Art brut, tanto da dedicargli un museo, è l’architetto Alain Bourbannais, che realizzò “La Fabuloserie” a Dicy in Francia. Il museo nato nel 1983, contiene diverse opere d’arte realizzate da pastori, contadini, guardiani, persone comuni che, senza nessuna conoscenza accademica dell’arte e delle sue tecniche, crearono burattini, disegni, giostre, quadri, sculture ed “installazioni”.

Grazie anche a collezionisti come Bourbannais, l’Art Brut è riuscita a trovare un posto nella storia dell’arte, accrescendone il valore proprio del fare artistico e delle sue variegate possibilità di espressione. L’arte non è più un mondo per pochi e per addetti ai lavori, ma si fregia di una grande libertà, diventando così linguaggio di tutti, un medium creativo, istintivo e non verbale che chiunque può impiegare per esprimersi, parlare di sé e della propria relazione con il mondo.

Roma, dove la pubblicità diventa street art

Roma è la città degli echi, la città delle illusioni, e la città del desiderio.
[Giotto]

 

Non c’è artista, poeta o scrittore, regista o attore, che non abbia colto passeggiando per le vie di Roma il fascino di questa città-museo, dove la storia più che mostrarsi, ci viene incontro a ogni angolo di strada, dove si passeggia tra muri di millenni lontani e il bello diventa luogo in cui abitare.

Diversa da qualsiasi altra capitale, proprio per questo suo fascino di dipinto su cui uno dopo l’altro si sovrappongono immagini di stili e forme che appartengono al susseguirsi dei secoli, più di una volta si è tentato di togliere a questa città il suo ruolo di centro politico ed economico, in sostanza statale, d’Italia. Certo, le difficoltà di poggiarsi tutta su fondamenta ricche di beni inestimabili e lo spazio urbano occupato da architetture di difficile restauro non agevolano l’ammodernamento di quest’atipica metropoli, le cui strade si aprono su pericolose voragini e la cui metropolitana, tanto per fare un esempio, conta solo tre linee a brevi tratti, mentre gli scavi per le nuove linee previste rimangono bloccate dal continuo emergere di nuovi siti archeologici.

Tuttavia, Roma non è poi così vecchia e i suoi abitanti sembrano già pronti a creare una sintesi tra l’estetica in cui sono soliti vivere e gli usi di capitali europee tanto distanti dalla nostra per cultura e approccio al territorio. Un vivace esempio di questa moderna idea di decoro cittadino, ce lo regala la Roma notturna, quando i negozi chiudono e le serrande si abbassano: è a quest’ora che le strade si colorano di dipinti a bomboletta spray, una forma d’arte del tutto contemporanea che perfettamente si concilia con le esigenze della moderna economia.

È dai primi anni del duemila, infatti, che a Roma si sta diffondendo un’abitudine già ampiamente diffusa nelle città nordiche, forse prima tra tutte Berlino, esempio principe di una città che non si abbandona alla propria storia, ma ricostruisce la propria immagine con uno stile del tutto nuovo, fondato sul sincretismo tra passato e presente; allo stesso modo, tra un monumento e l’altro della capitale italiana, s’impongono all’attenzione le saracinesche dei negozi, che ripropongono in tratti colorati le attività che si svolgono al loro interno.

 

Negozio chiuso nel quartiere di San Giovanni in Laterano – Roma
ACI Delegazione Re di Roma, via Pinerolo, nel quartiere di San Giovanni in Laterano – Roma
Agenzia di Scommesse SNAI in piazza San Giovanni in Laterano – Roma
Vineriagallia, via Gallia, nel quartiere di San Giovanni in Laterano – Roma

Come spesso accade, nel nostro Paese forse più che altrove, la spontanea iniziativa imprenditoriale è presto stata oggetto di accuse: gli esercenti, infatti, non sono tenuti a chiedere autorizzazione per promuoversi dipingendo direttamente sulle serrande, le quali non sono contemplate come mezzo per veicolare pubblicità dalla legge di riferimento (delibera 100 del 2006), e più di una voce si è sollevata a sostenere che l’obiettivo fosse proprio quello di evadere le tasse dovute allo Stato nel caso d’installazione di un’insegna esterna. Di fatto, gran parte delle attività che usano questa pratica la accompagnano con una regolare insegna, quindi la pittura sulle saracinesche non sarebbe da includersi come operazione a fini pubblicitari, ma come mera decorazione.

A ciò si aggiunge il fatto che, sebbene non in termini di tasse, tale operazione comunque contempla delle spese (mediamente sui 300 €) e offre un’opportunità di guadagno per molti giovani writers, tra i quali diversi hanno ora una firma attestata e altri si sono organizzati in gruppi che agiscono come aziende, comprensive di sito in line attraverso cui contattarli.

Al di là delle polemiche, la pratica continua a diffondersi per le vie della capitale e negli ultimi dieci anni ha preso piede anche in altre città italiane, da Milano a Torino, riflettendo a pieno la politica alla base della street art, che vuole trasformare le grigie metropoli moderne in un «posto migliore da vedere» [Bansky].

Gioielleria Sabatini, via Veio, quartiere San Giovanni in Laterano – Roma
OffLicense, negozio di birre in via Veio, quartiere San Giovanni in Laterano – Roma
Edilambiente e panetteria, via Veio, quartiere San Giovanni in Laterano – Roma
Happy Feet, calzature per bambini e ragazzi, via Gallia, quartiere San Giovanni in Laterano – Roma
Ink Factory Tattoo, via Gallia, quartiere San Giovanni in Laterano – Roma
ZIP Sartoria Rapida, via Gallia, quartiere San Giovanni in Laterano – Roma
Pizzeria Delicious, via Gallia, quartiere San Giovanni in Laterano – Roma
Robivecchi risto-pub, via Gallia, quartiere San Giovanni in Laterano – Roma
Panificio, via Cutilia, quartiere San Giovanni in Laterano – Roma
Pizzeria Marchese, via Etruria, quartiere San Giovanni in Laterano – Roma
PhotoSì, quartiere San Giovanni in Laterano – Roma
Pigneto – Roma
Pigneto – Roma
Bar del Cappuccino, via Arenula, Rione Regola – Roma
Risivi Gioielli, via dei Pettinari, Rione Regola – Roma
Calzaturificio Timberland, Rione Regola – Roma
Negozio Weedo e Adriano Carnovale Hair Dresser Salon, via Appia Nuova – Roma

Le mostre d’arte imperdibili del 2018

Il 2018 sarà un anno che in Italia, e non solo, sarà ricco di eventi culturali e mostre d’arte che permetteranno al grande pubblico di (ri)scoprire e conoscere opere e artisti che fecero dell’arte il loro mestiere e decisero di rompere con la tradizione, creando nuovi stili e diventando delle icone universalmente riconosciute.

Il MUDEC di Milano ospiterà dal 1° febbraio al 3 giugno 2018 la mostra dedicata a Frida Kahlo (1907-1954) con un’interessante selezione di opere, alcune mai viste nel nostro Paese, provenienti dal Museo Dolores Olmedo di Città del Messico e dalla Jacques and Natasha Gelman Collection. Una mostra che vuole dare voce e spazio a una pittrice che diventò icona dell’arte e del Messico e riuscì con uno stile originale, talvolta definito surrealista, a dare il suo eccezionale contributo all’arte del Novecento.

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Frida Kahlo, fotografia di Guillermo Kahlo, 16 ottobre 1932. Da febbraio a giugno potremmo ammirare i suoi capolavori al MUDEC di Milano.

Al Palazzo Reale di Milano dal 21 febbraio si potrà visitare la mostra Dürer e il Rinascimento, dove saranno esposte circa 100 opere tra dipinti, disegni e incisioni realizzate da Albrecht Dürer (1471-1528). Si potranno scoprire le opere e la vita del celebre esponente del Rinascimento tedesco, che compì diversi viaggi in giro per l’Europa e in Italia, dimostrando il suo poliedrico talento come incisore e trattatista, illustratore e scienziato, pittore e matematico.

I Musei Civici di Treviso diventano sede conclusiva della mostra allestita in occasione dell’anniversario della morte di Auguste Rodin (1840-1917). Il 24 febbraio si inaugurerà l’esposizione che proseguirà fino al 3 giugno 2018 con una selezione di sculture e opere su carta provenienti dal Museo Rodin di Parigi. Rodin fu pittore e scultore che rinunciò alla fedele ricostruzione della realtà e dell’anatomia umana, preferendo realizzare opere connotate da una marcata concretezza, a cui aggiunse l’emozione, l’umanità e un forte senso di individualità.

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Auguste Rodin, Il pensatore, 1880-1902, Museo Rodin, Parigi. Dal museo parigino una selezione di opere che rimarranno in esposizione in Italia, a Treviso, fino a giugno.

 

Il Museo Peggy Guggenheim di Venezia dal 27 gennaio al 1° maggio 2018 ospiterà la mostra Marino Marini. Passioni visive, che metterà a confronto, in un allestimento audacemente provocatorio, le opere dello scultore pistoiese (1901-1980) con una selezione di lavori di altri artisti quali Giacomo Manzù, Henry Moore, Pablo Picasso e Auguste Rodin. Si potrà visitare un’esposizione all’insegna della scultura del ‘900, sulla sua tradizione artistica e sulla sua capacità espressiva all’interno del pregevole contesto di Palazzo Venier dei Leoni, sede del Museo.

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Il Museo Peggy Guggenheim di Venezia che ospiterà la provocatoria mostra “Marino Marini. Passioni visive”.

Per l’autunno del 2018 sono in arrivo altrettante mostre che ci faranno amare l’arte, ci stupiranno e, soprattutto, ci permetteranno di ammirare i grandi artisti.

A Milano a Palazzo Reale dal 18 ottobre 2018 al 17 febbraio 2019 si attende la mostra dedicata a Pablo Picasso, dove si ricercheranno inedite relazioni con il repertorio iconografico dell’arte greco-romana. A Palazzo Diamanti di Ferrara dal 22 settembre 2018 al 6 gennaio 2019 arriverà Gustave Courbet, il padre del Realismo francese, che ci permetterà di ammirare immensi paesaggi e una natura abilmente colta nella sua misteriosa complessità. Venezia si appresta a celebrare a partire dal 7 settembre 2018 il 500° anniversario di nascita di Jacopo Robusti detto il Tintoretto (1519-1594), che presenterà una mostra in cui collaboreranno insieme Palazzo Ducale, le Gallerie dell’Accademia e la National Gallery di Washington.

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L’artista Marina Abramović sarà presente all’inaugurazione della mostra a lei dedicata a Palazzo Strozzi (Firenze), a partire dal 21 settembre 2018.

A Firenze Palazzo Strozzi torna a essere fulcro centrale dell’arte contemporanea dal 21 settembre al 20 gennaio 2019 con la retrospettiva dedicata a Marina Abramović, artista che fa del proprio corpo lo strumento d’espressione creativa. L’evento viene creato con il diretto coinvolgimento dell’artista, che riunirà oltre 100 opere dagli anni Settanta ad oggi offrendo, anche, la possibilità di assistere alla ri-esecuzione dal vivo di alcune sue celebri performance.

E fuori dall’Italia? Quali mostre d’arte sono da vedere assolutamente?

Il 2018 è per Vienna un anno importante in cui si celebrano la vita e le opere di artisti che in diversi campi diedero un importante slancio alla capitale austriaca. Egon Schiele (1890-1918), Gustav Klimt (1862-1918), Koloman Moser (1868-1918) e Otto Wagner (1841-1918) sono i protagonisti indiscussi della Secessione di Vienna di fine ‘800, caratterizzata in campo artistico e architettonico dall’uso dell’oro, di motivi floreali e geometrie essenziali, in uno stile teso a una forte sensualità. Numerosi infatti sono gli eventi culturali, musicali e le mostre (si stimano ben 15 esposizioni), che illustreranno per tutto l’anno come artisti, scienziati, architetti, designer e molti altri hanno avuto un impatto duraturo su Vienna nei primi anni del 1900.

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Gustav Klimt, Il bacio (dettaglio), 1907-1908, Galleria del Belvedere, Vienna. Nel 2018 i Secessionisti ritornano protagonisti della cultura e dell’arte viennesi.

Alla National Gallery di Londra prosegue fino al 7 maggio 2018 un’imperdibile mostra gratuita dedicata al pittore francese Edgar Degas (1834-1917) in occasione del centenario della sua morte. Una mostra che offre la possibilità di ammirare un Degas inedito, autore di disegni e pastelli di straordinaria e unica bellezza, opere per lo più sconosciute al grande pubblico e provenienti dalla collezione Burrell di Glasgow.

Al Guggenheim Museum di New York dall’8 giugno al 16 settembre 2018 si potrà visitare la mostra dedicata all’artista svizzero Alberto Giacometti (1901-1966) con oltre 170 opere tra sculture, disegni e dipinti, dove si può vedere come l’arte scultorea abbia infinite possibilità: si allunga, si destruttura, si ricompone, si trasforma, crea, fa pensare e permette di entrare nell’inconscio dell’essere umano.

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Street art, fotografia di Clem Onojeghuo. Nel 2018 a Singapore si potranno ammirare le opere di celebrità ed emergenti della street art.

L’ArtScience Museum di Singapore dal 13 gennaio al 3 giugno 2018 ospiterà per la prima volta nel sud-est asiatico un’esposizione dedicata alla street art dal titolo Art from the Streets. Ci saranno tutti i nomi più noti al mondo, tra cui Banksy, JR, Shepard Fairey (Obey), Blek le Rat, Futura, Invader, Vhils e Swoon. Si darà però anche risalto all’arte urbana nel sud-est asiatico, con una serie di interventi dal vivo realizzati da artisti locali.

Muri che mordono: il ruggito di Turbosafary

 

Rompiamo i cordoni rossi che ci separano dalle tele appese, viaggiamo tra forme spigolose, andiamo a conoscere la ciurma di Tubosafary! Parliamo di un collettivo formato da cinque giovani talenti del graffito urbano che durante l’estate appena trascorsa hanno conosciuto la calce dei muri di tutta Italia, loro sono Cripsta, Dilen, Tybet, Acca ed Est Her.

Amicizia e affiatamento da circa tre anni sono il collante che lega i cinque nomadi, che solo da quest’anno avranno sede a Milano. Si ispirano a Matisse e credono nell’idea di non limitare né la fantasia, né il campo d’azione, fondendo insieme i gusti e la creatività di ogni singolo componente del gruppo, ottenendo un armonioso cocktail geometrico e cromatico. Conosciamoli meglio!

 

Se dico Tubosafary, voi cosa dite?

«Turbosafary è una folle corsa in stile Mad Max, solo che le vetture sono guidate da animali selvaggi. Dopo un infinito brainstorming abbiamo scelto il nome, suonava bene, era unico e ci rappresentava, racchiudeva la nostra voglia di fare e il nostro spirito un po’ tribale. Quando abbiamo finito ci siamo accorti che era solo quello che volevamo diventare. Ci unisce davvero una profonda amicizia e un’incredibile voglia di sperimentare, prendere ciò che di buono ciascuno di noi può dare per imparare e creare qualcosa di nuovo e di bello».


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 L’arte oggi: passione o professione?

«Ci ritroviamo spesso a chiederci, se quello che facciamo sia arte, forse è solo una piccola sfaccettatura, ma intanto proviamo a trasformare le nostre passioni in un lavoro.

I due ambiti possono di certo essere in contatto, ma non crediamo sia giusto vendersi e perdere di vista il proprio stile e la propria ricerca per ricavarne un profitto».

Qual è il marchio di fabbrica inconfondibile? 

«Lo stile Turbosafary è composto da elementi grafici dalla tinta piatta, con colori pastellosi e brillanti, bilanciati da altre forme più aggressive e taglienti, rendendo l’opera finale un gioco armonioso di strutture disarmoniche e apparentemente discordanti.

Vorremmo trasmettere l’essenza di ciò che siamo e di come vediamo il mondo: un equilibrio di elementi diversi che insieme danno vita a qualcosa di fresco, distante dall’accademico. Turbosafary è probabilmente prima un modo di essere, che poi prende vita nei nostri lavori».

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L’estate 2015 è stata ricca di opportunità creative, cosa avete realizzato sotto il sole della bell’Italia?

«E’ stata una bella avventura, nel giro di venticinque giorni abbiamo girato Puglia, Calabria, Sicilia, Abruzzo e Marche a bordo del nostro furgone. In questo viaggio abbiamo avuto la conferma della bellezza del nostro paese, di quanto possa essere ispirante e ricco di persone e luoghi splendidi.

Abbiamo, inoltre, conosciuto molte realtà che operano per lo sviluppo artistico urbano nel sud e centro Italia. Ovviamente abbiamo lasciato, quando abbiamo potuto, un segno del nostro passaggio».

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Per due anni avete collaborato con il Pop up! Festival, quali progetti avete organizzato e cosa vi hanno lasciato?

«La nostra prima collaborazione con il Pop up! Festival risale al 2013, quando ci è stato chiesto di realizzare un progetto di street art con i bambini della scuola

Serendipità, un casolare immerso nella campagna di Osimo e trasformato in una scuola materna libertaria. Abbiamo realizzato un workshop per i bambini, in cui abbiamo raccontato la ‘Storia dell’isola di Ö’, un luogo magico, abitato da personaggi fantastici. Questa fase di lavoro ha permesso di coinvolgere completamente i bambini, rendendoli partecipi della fase progettuale e compositiva. Il passo successivo è stato la riproduzione dei personaggi sui muri della loro scuola! Un progetto davvero ricco e interessante.

La seconda collaborazione con il festival è avvenuta quest’anno e siamo stati chiamati a dipingere la stazione ferroviaria di Castelplanio, nei Colli Esini marchigiani. Siamo molto grati all’associazione MAC per queste due opportunità che ci ha offerto».

 

 

Intervista a Fra.Biancoshock, a Milano la Street Art diventa “effimerista”

Articolo e fotografie di Martina Balgera

e Francesca Gabbiadini

Continua il nostro percorso tra i muri e gli oggetti di Milano reinventati dalla Street Art: dai colori e sorrisi pop di Pao passiamo ora al lato concettuale dei graffiti urbani e al loro ambizioso obiettivo di proporre un’arte volta a far girare le rotelline dei cervelli cittadini.

Blu all'entrata del Padiglione d'Arte Contemporanea (PAC).
Blu all’entrata del Padiglione d’Arte Contemporanea (PAC).
Urban solid.
Urban solid.

Incontriamo, dunque, l’artista emergente Fra.Biancoshock, considerato dallo stesso Pao uno dei nomi più interessanti e promettenti a Milano.

Fra ha realizzato più di 400 interventi urbani in Italia, Spagna, Portogallo, Croazia, Ungheria, Repubblica Ceca, Malesia e Stato di Singapore, privilegiano uno stile che si allontana dalla pittura per adoperare gli oggetti stessi come mezzo artistico.

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Quali necessità ti hanno portato ad approcciarti alla Street Art?

«In primis il bisogno di comunicare con il resto del mondo in un modo diverso. Provenendo dal mondo del writing mi sono ovviamente reso conto che la strada era il mio palcoscenico naturale e ho iniziato così a sperimentare degli interventi che potessero esprimere i propri messaggi in un contesto urbano».

Dal punto di vista artistico Fra ha sempre cercato e creato un percorso creativo unico e altamente soggettivo, che non si ricollegasse a lavori altrui o a scuole di pensiero definite in una corrente esplicitamente riconoscibile. I suoi mentori arrivano direttamente dalla Street Art, come Brad Downey, Elfo, The WA, Mathieu Tremblin, SpY, Vladimir Turner e Evan Roth.

Nel nostro precedente articolo ci siamo occupate dell’artista Pao: sicuramente lo conosci, ma non sappiamo cosa ne pensi e se ti sei ispirato a lui.

«Io e Pao ci siamo conosciuti di persona nell’ultimo anno. Penso sia un precursore della Street Art milanese, che abbia una sua coerenza artistica ma preferisco dire quello che penso di lui come persona: centrato, disponibile, professionista.

Detto che lavoriamo entrambi in strada e a volte su complementi di arredo urbano, credo di non essermi ispirato a lui, più che altro perché i mie interventi cercano sempre di cambiare mezzi, media, messaggi, soggetti e situazioni

All’inizio del suo percorso artistico Fra.Biancoshock decise di portare avanti la provocazione Sorry this artist does not exist nei confronti dell’arte in generale e dei suoi sistemi, ma:

«A un certo punto ho capito che questa provocazione si era esaurita. Proseguire con quel “claim” sarebbe stato ipocrita e avrebbe rischiato di diventare un’etichetta “commerciale”. Non riconoscendomi in categorie specifiche tipo street art, urban art, etc etc. ho deciso di dare personalmente un nome a ciò che faccio, mettendo a fuoco una serie di elementi che han sempre fatto parte del mio iter creativo. I miei lavori sono sempre stati rivolti alle persone comuni, a quel punto ho ritenuto indispensabile cercare un confronto con Silvia (Silvia Butta Calice, sua Art producer n.d.r.), ovvero una persona che avesse un’esperienza diversa da quella artistica e che, allo stesso tempo, potesse darmi una visione imparziale ed estranea al mio concept per capire i punti di forza e le lacune di questa mia nuova visione: da qui è nato Ephemeralism.

E dato che ho martoriato questa ragazza con interminabili discorsi che spaziavano dai massimi sistemi dell’Arte fino al puro Non-Sense, ho deciso di spiegare tutto questo attraverso una personale, di cui Silvia è la curatrice.»

manifesto mostra

Dopo numerosi progetti quali “Antistress for free”, “Graffiti is a religione” e “Someone”, per citarne solo alcuni, Fra crea e promuove l’avanguardia artistica Ephemeralism, ovvero Effimerismo: attraverso il dialogo tra la praticità della Street Art e le modalità espressive dell’arte concettuale, l’artista promuove una corrente in cui gli oggetti artistici esistono in un tempo limitato nello spazio, ma che persistano illimitatamente attraverso la fotografie, il video e la viralità tipica dei social network. Utilizzando questi strumenti le riflessioni che impone con i suoi lavori passano dall’essere  effimeri all’essere “ephemeralism”.

Ingresso alla 77 Art Gallery
Ingresso alla 77 Art Gallery
Strumenti d'artista
Strumenti d’artista

PersoneAllaMostra

All’inizio di marzo del corrente anno, in Corso Porta Ticinese a Milano, Fra ha presentato la sua prima personale milanese nello spazio 77 Art Gallery: in relazione alla tua prima personale a Milano, come spieghi il connubio fra arte di strada e lo spazio chiuso dell’esposizione?

«Credo che la galleria d’arte intesa come galleria-gallerista-critico-scaffali di opere di artisti-elitè-inaugurazione la domenica pomeriggio non sia per il mio tipo di approccio la location ideale in cui esprimermi. Poi vi sono realtà diverse, come ad esempio al 77 Art Gallery, che operano con logiche diverse, più attuali e più stimolanti per gli artisti.

Io avevo bisogno di presentare questo progetto e avevo bisogno di uno spazio chiuso in cui le persone possano vedere quello che negli altri 364 giorni esprimo per strada. In questi anni molti hanno scritto che sono molto viral ma che di mio in giro si vede fisicamente poco. Dato che è vero, mi sembrava carino pensare a questo momento per esibire un po’ di esperienze effimere.»

Opera effimera esposta alla mostra
Opera effimera esposta alla mostra

A differenza di Pao, che ha un retroscena culturale del miglior teatro milanese, l’arte di Fra.Biancoshock nasce e si forma attraverso le strade, dialogando sì con il cittadino medio ma chiedendogli uno sforzo interpretativo maggiore.

La causa di questo sforzo non risiede nel messaggio, ma nello stile: la tecnica adoperata prevarica il linguaggio semplice e immediato, con la volontà di combinare stili appartenenti a più arti e metodi espressivi altamente contemporanei. In questo modo, rimaniamo in una Street Art di nicchia, aperta solamente alle giovani generazioni: vecchietti e adulti con menti ristrette, difatti, possono sicuramente osservare i suoi interventi urbani, ma non potrebbero mai recepire il passaggio successivo della sua corrente artistica, ovvero la possibilità di essere reiterata infinitamente grazie all’utilizzo di fotografie e video caricati su internet, canale comunicativo contemporaneo per eccellenza.

Pensando agli effetti sul fruitore si può fare di nuovo un confronto tra Pao e Fra. Le opere di Pao suscitano un sorriso corale perché ridanno slancio vitale a tristi elementi urbani, mentre Fra  utilizza più spesso il pirandelliano “sentimento del contrario” con il quale ci mostra le contraddizioni della società, tant’è che le sue opere umoristiche fanno provare anche un certo disagio.

angioletto che beve

Intervista a Pao, a Milano la Street Art diventa “pop”

di Martina Balgera

e Francesca Gabbiadini

Panettoni trasformati in pinguini, lampioni reinventati in chupa chups, alberi ornati da ricami di lana, cartelli stradali invasi da omini stilizzati, cabine ed edicole su cui spuntano teste di gallo, tubature che diventano bastoni da appoggio per vecchietti e, ancora, crepe da cui si scorgono mondi visionari: le creature della Street Art invadono le strade delle città di tutto il mondo, mutandone gli elementi.

Specialmente in ambienti grigi e alienanti, l’arte fuoriesce dalla tela, dal marmo e dalla pellicola per invadere la quotidianità dei cittadini e strappare sorrisi, suggerire spunti, creare provocazioni: e a Milano?

galletto
Parco Marinai d’Italia
Quartiere Isola
Quartiere Isola
Quartiere Isola
Quartiere Isola

Uno degli Street Artists più conosciuti e operanti nel capoluogo lombardo è senza ombra di dubbio Pao, coi suoi popolari pinguini e personaggi di fantasia provenienti dal mondo dei fumetti.

Dopo aver lasciato la facoltà di giurisprudenza al primo anno, decide di iniziare un’esperienza lavorativa con la compagnia teatrale di Dario Fo e Franca Rame. Si trasferisce poi a Londra in cerca di lavoretti e si accorge che le cose lì, non sono come le aveva immaginate. Qui vengono gettati i semi della sua riflessione sugli spazi urbani perché attorno a lui vede telecamere, sistemi di sicurezza e polizia ovunque, inizia a sentirsi come in 1984 di Orwell, ne prova un vero senso d’angoscia.

Quale necessità ti ha portato ad approcciarti alla street art?

«Quando ho iniziato, stavo passando un brutto periodo, ero particolarmente depresso, un anno di vita a Londra mi aveva completamente alienato. L’idea di dipingere per strada sui paracarri mi è arrivata quasi per gioco, subito mi sono accorto che funzionava come terapia, non solo per me ma per tante persone che approcciandosi alle mie opere ritrovavano il sorriso. Proprio l’apprezzamento delle persone mi ha spinto a continuare e a intraprendere questa difficile strada».

Ha avuto la fortuna di essere apprezzato da due delle personalità più note nell’ambito della Street Art, Marco Teatro e Paolo Buggiani, che lo hanno appoggiato e ispirato con il loro carisma. Un aneddoto esemplificativo dello spirito a cui Pao si sente realmente affiliato: proprio Paolo Buggiani , ormai agé, invitò Pao a Roma e durante una tranquilla passeggiata in Trastevere salì con una scala su un albero per collocare uno dei suoi coccodrilli spiazzando il giovane.

Paopao studio
Paopao studio
Ancora Paopao studio
Ancora Paopao studio
Pao
Pao

Nell’arte di Pao si può affermare che la cifra stilistica sia la capacità di far scaturire un sorriso, un ricordo d’infanzia. I suoi personaggi sono spesso legati al mondo dei fumetti, e ultimamente per le strade di Milano si può incappare, oltre che in Hello Spank, anche in Mister Magoo e uno Snoopy sonnecchiante sulla sua casetta rossa.

Kyle

Mr Magoo

Paolo è attivo dal 2000 nella sua città natale perciò nasce la curiosità di sapere, quali e dove sono i lavori che ti hanno appassionato di più e perché?

«Di lavori belli a cui sono affezionato ce ne sono molti, per diversi motivi. Diciamo che in 14 anni di tempo ho avuto modo di realizzare tante opere, ma sicuramente ce ne sono alcune che per un motivo o per l’altro sono più significative. Le prime rimangono nel cuore perché da lì tutto è iniziato, quasi inaspettatamente.

Piazza Arcole a Milano, dove c’era una rotonda di 22 panettoni tutti dipinti; via Cesariano, dove ho dipinto l’intera piazzetta con l’aiuto dei residenti e dei negozianti; ma anche la tela esposta nel 2007 al PAC (Padiglione d’Arte Contemporanea a Milano, ndr), i nuovi lavori di Street Art con tematiche nuove, le tele concave che sto dipingendo…».

Il suo ultimo intervento in città è POP, un disegno creato sul ponte che collega via Lagrange a via Gola sul Naviglio Pavese, nell’ambito dell’iniziativa Bridge Festival prodotta da Evoluzioni Urbane.

pontePOP

Proprio l’esposizione collettiva dei talenti della Street Art milanese al PAC nel 2007 gli permette di affermarsi e di essere riconosciuto per i suoi lavori negli spazi pubblici urbani ma non bisogna dimenticare che parallelamente coltiva la pittura su tela ed espone in varie gallerie italiane e straniere.

Utilizzi linguaggi diversi per le tue opere in galleria rispetto a quelle che vediamo in strada?

«Sì, utilizzo linguaggi molto diversi. In strada cerco di portare un po’ di ironia, di colore e allegria. Mi rivolgo a un pubblico vastissimo, quindi l’opera deve avere un grado di leggibilità molto elevata; utilizzo quindi speso citazioni dall’immaginario collettivo, come personaggi dei fumetti, della tv o dei videogiochi. I colori che uso sono accesi e brillanti, perché devono competere con lo smog e con la sovrabbondanza di stimoli visivi della segnaletica e della pubblicità. L’intenzione è quella di portare in città qualcosa di positivo e migliorare lo spazio pubblico.

In studio e in galleria mi concentro su quanto in strada non potrebbe funzionare. La ricerca sui quadri è più complessa, profonda e intimista. Quando dipingo in studio cerco di esplorare il mio mondo interiore. I quadri dimostrano diverse possibilità percettive. Le due ricerche si stimolano e completano a vicenda e anzi, mi piacerebbe riuscire a trovare una sintesi tra queste due tendenze».

Nei suoi interventi urbani, dunque, Pao sostiene un messaggio artistico che si snoda fra l’immediatezza e la semplicità, privilegiando i sensi del cittadino e accantonando opere di respiro più concettuale e raziocinante. Operando in questo modo viene fruito facilmente da tutti, opera una scelta artistica altamente consapevole che si potrebbe definire prendendo a prestito la terminologia musicale (proprio come fa lui stesso nel suo ultimo lavoro) “pop”, in quanto ha radici nella cultura underground  ma si affida a canali ufficiali e diffonde il suo stile “leggero” stereotipandolo. 

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