Il turismo asiatico in Italia e in Europa sta acquisendo anno dopo anno una fetta sempre più ampia del turismo globale. L’importanza economica del fenomeno non è affatto marginale: molti Paesi europei hanno infatti scelto di investire in questo ramo del turismo, snellendo le procedure burocratiche per i viaggiatori e aumentando il personale parlante cinese-mandarino.
E fra le tante città europee visitate, Milano è da tempo una delle mete favorite. Un giro nel centro della capitale meneghina e si ha subito la conferma di questo trend, con insegne in giapponese e cinese nelle vetrine e commessi multilingue. Infatti, se in generale la Lombardia è la meta più ambita per lo shopping dagli stranieri, cinesi e giapponesi fra tutti sonoquelli che spendono di più durante le loro visite, specialmente nell’alta moda.
Ma a contraddistinguere il turista asiatico medio a Milano come altrove non sono soltanto le mille borse e pacchetti, frutto dello shopping nei negozi più costosi delle vie della moda, ma anche l’immancabile macchina fotografica. E soprattutto chi viene dal Giappone, patria di Nikon e Canon, sfoggia un’attrezzatura professionale da fare invidia, spesso impiegata per fotografare ogni singolo dettaglio, dal piccione di fronte al Duomo ai piatti di spaghetti. Questa frenesia nello scattare non è da imputare, come spesso si è detto malignamente, alla volontà di appropriarsi delle amenità occidentali per riproporle in patria attraverso l’imitazione: semplicemente lo sviluppo di rullini e l’acquisto di apparecchi fotografici è da sempre meno costoso in Asia, mentre in Europa soltanto l’avvento del digitale ha reso la fotografia meno proibitiva.
Abbiamo fatto un giro in Piazza Duomo a Milano, per immortalare i turisti asiatici intenti nella loro attività preferita. Che si tratti di una reflex o di uno smartphone con tanto di bastone per i selfie, la missione rimane sempre la stessa: scattare a più non posso per non dimenticarsi neanche un istante del proprio viaggio.
Questa è la storia di un ragazzo che, circa un anno e mezzo fa, decise di aprire la sua casa ai turisti trasformandola in un bed and breakfast. Lo chiameremo Mario.
Innanzitutto occorre chiarire che questa operazione diventa da subito una “missione di vita”, come la definisce Mario: «Se qualcuno vuole cimentarsi nel farlo è giusto che lo sappia: deve sapere che a lungo andare si trasformerà in una colf. Aprirne uno in casa propria è un bell’impegno».
Ha preso questa decisione circa un anno e mezzo fa, quando a Utopia partiva una nuova ondata di airbnb. Un’esplosione pazzesca (anche nel mondo online) data probabilmente sia dall’aumento del turismo e dall’immediatezza della sharing economy, come mi suggerisce Mario: «C’è molta più gente che usa internet, tutti sono in generale più aperti, la maggior parte della gente parla inglese. Probabilmente l’insieme di queste cose ha fatto sì che ci sia stato il recente boom».
La sua casa rimane nella zona centrale della città, in una cornice di tranquillità, verde e edifici antichi che credo colpiscano molto i turisti di passaggio. Mario ha girato il mondo, ha incontrato e provato ogni tipologia d’alloggio: dall’hotel al B&B, la tenda, l’amaca in spiaggia, i divani di Couchsurfing. Una volta tornato a vivere stabilmente nel Bel Paese, «mi mancava proprio l’idea di viaggiare e di avere intorno viaggiatori e mi sono buttato, ho provato a farlo così per ridere. L’ho fatto perché nella casa in cui vivevo c’erano due stanze i più che non usavo, nella realtà dei fatti, a lungo andare ti accorgi che mantenere un altro lavoro diventa ingestibile, soprattutto se hai due stanze da gestire. Fa si che i turisti arrivino davvero in ogni momento».
Chiaro è che l’impegno è direttamente proporzionale al servizio che si decide di offrire. Nella città la situazione è diventata molto competitiva: solo 200 sono i B&B registrati legalmente, aggiungendo il numero delle stanze affittate da privati e non registrate si potrebbe arrivare al doppio (queste le voci di corridoio del losco giro dei B&B fantasma).
Per sopravvivere alla spietata concorrenza occorre metterci la testa e dare all’attività un’impronta imprenditoriale, continua Mario: «Se decidi di farlo per hobby (come può essere couchsurfing) puoi decidere che, per 200 euro al mese, il turista che arriva in ritardo può aspettarti anche sotto la pioggia e chi se ne frega – anche della recensione negativa che ti faranno e del fatto che probabilmente da quel momento avrai due ospiti in meno. Oppure decidi di farlo seriamente e in maniera professionale, quindi di farne il tuo lavoro a tempo pieno».
Come mi spiega il giovane albergatore, l’entusiasmo iniziale è un sentimento comune: il pensiero di avere intorno tanti viaggiatori da conoscere, l’intesa che si crea con le persone abituate a viaggiare nella realtà dei fatti tutto questo non esiste. Meglio, esiste in una dimensione marginale che può creare situazioni molto piacevoli; sta di fatto che gestire l’arrivo e la quotidiana accoglienza di turisti crea stress, non è più un piacere. La verità è che passerai tutti i giorni a pulire, sistemare la casa, rifare i letti e stirare tutti i giorni della tua vita. «In realtà avere un B&B vuol dire “fare la colf”, questa è la realtà dei fatti. Chiaramente esistono mille modi per affrontare questa cosa: penso a coloro che hanno la fortuna di avere una (o più) case di proprietà, quindi senza affitto da pagare, che possono permettersi di avere un addetto alle pulizie».
L’elemento chiave di questa forma di ospitalità sono diventate le recensioni: su siti, quali Booking, Trip Advisor, Expedia, Airbnb ognuno registra il “profilo” del proprio B&B con la sua offerta e le recensioni di coloro che in quel letto han già dormito. C’è da dire che tante recensioni sparano a zero un po’ su tutto, spesso risultano non veritiere come l’esempio di Mario: «C’è della gente che, veramente, viaggia e non capisce. Dei turisti sono riusciti a scrivere nella recensione che il mio corridoio “è spoglio”! Cosa vuol dire che un corridoio è spoglio?!». Il corridoio in questione è un corridoio bianco con appese alle pareti delle mappe geografiche. Questo per farvi capire quale “cappio al collo” siano le recensioni per un’attività di questo tipo. Sono estremamente rigide e questo influisce molto sull’avvio dell’ airbnb.
Aggiungete a questo l’ansia dei turisti in ritardo. Qualche volta colpevoli, qualche volta semplicemente in balìa dei mezzi di trasporto, hanno la capacità di scombussolare totalmente la tua giornata e i programmi che ti eri fatto. «Non puoi farci nulla. Ne succedono di ogni sorta: gente che si perde tra la stazione e Porta Nuova, gente che “Arriviamo alle 17.00”, alle 17.00 non arriva, provi a contattarli e scopri che “Ci siamo fermati a mangiare qualcosa e arriveremo alle 18.30”. Poi magari si scusano, però va così». Il segreto è prenderla con positività, incastrare al meglio il lavoro e i propri impegni tenendo sempre in considerazione il fattore imprevedibilità.
Questa è la storia di Mario e del perché non aprire un B&B in casa propria.
Italiani, rassegniamoci, siamo un popolo di vacanzieri. Che si tratti di vacanze low budget o di soggiorni lussuosi, sono più di 57 milioni i viaggi compiuti dai cittadini del Bel Paese nel 2015. Se si considerano poi i 340 milioni di pernottamentiregistrati dall’ISTAT nello scorso anno non si può fare altro che constatare che sì, ci piace viaggiare e lo facciamo spesso.
Ma, come si dice, che gusto c’è se le passioni non vengono condivise? Nessuno, infatti. Per questo il turista italiano sceglie ancora di frequente di unirsi a viaggi di gruppo, o gruppi-vacanza che dir si voglia, e di condividere gioie e dolori delle proprie avventure con altri connazionali. Siamo sicuri che, volenti o nolenti, tutti voi abbiate partecipato ad una vacanza in compagnia e che probabilmente la vostra esperienza rientri in una delle categorie individuate in questo articolo. Ecco dunque la lista di Pequod dei gruppi-vacanza che avrete il piacere di incontrare quest’estate. Attenzione: uno di questi gruppi potreste proprio essere voi!
Pensionati in pellegrinaggio
Pensionati di Monticello a Misano Adriatico (RN) / casateonline.it
L’evergreen dei viaggi organizzati, il trionfo del marsupio e del sandalo con calzino. A tutti voi sarà capitato di incontrare gruppi di allegri pensionati ammassati fuori da chiese e luoghi sacri. I più devoti vicinissimi alla guida, rigorosamente con microfono e con abiti dai colori sgargianti, così che nessuno la perda di vista. Le mete più apprezzate da queste comitive? In Italia nella top 4 ci sono San Giovanni Rotondo, località del foggiano dove oggi riposano le spoglie di Padre Pio, Padova, checon la Basilica di Sant’Antonio rappresenta un vero e proprio classico del turismo religioso del Nord Italia, Assisi e, chiaramente, la Basilica di San Pietro.
Addii al nubilato e addii al celibato
Addio al celibato di Marco ad Amsterdam / noiduepercaso.com
Il merito (o la colpa) di aver sdoganato i festeggiamenti pre-nuziali in trasferta va senza dubbio alle compagnie low cost. Da quando volare in una capitale europea costa quanto una pizza e un tiramisù, gli organizzatori di questi eventi goliardici scelgono sempre più spesso di portare tutta la comitiva di amiche o di amici in una località esotica, che soddisfi la sofisticata equazione “alcool a buon prezzo + discoteche = ci spacchiamo”. I tratti distintivi dei gruppi degli “addii”? Riconoscerete un addio al nubilato perché ci sarà un gruppo di ragazze con discutibili t-shirt rosa, o fucsia, con scritto “amica della sposa”, mentre l’outfit della suddetta sposa sarà impreziosito da una coroncina con velo. Le destinazioni predilette dai gruppi di ragazze sono quasi tutte in Spagna, Barcellona e le Baleari in primis. Perché l’ultima sbronza pre-matrimoniale ha più gusto se a servirvi la sangria o la cerveza è un tenebroso macho latino di nome Miguel. Gli addii al celibato vedono invece protagonisti le parrucche, pazze e colorate, e un abbigliamento improbabile studiato espressamente per mettere in imbarazzo il povero sposo, costretto a fotografie compromettenti con le bellezze locali. Per questo gli organizzatori del viaggio-festa scelgono solitamente località famose per la bellezza delle loro dame: città del Nord Europa, del Paesi Bassi e dell’Europa dell’Est.
Viaggi post-maturità
da “Che ne sarà di noi” (Giovanni Veronesi, 2003) / ivid.it
Li riconoscerete dal cappello di paglia e dalla bottiglia di vodka nascosta male nello zaino all’imbarco dell’aereo. Sono i neodiplomati che, finalmente liberi, partono per la loro prima avventura da maggiorenni, per la vacanza della vita. La loro eccitazione non conosce limiti e difficilmente riuscirete a dormire se li troverete sul vostro aereo, ma un po’ dovete aspettarvelo, se scegliete di andare ad Ibiza o a Mykonos a luglio o agosto…
Visita guidata al museo
Guida con microfono / prolocosovico.it
Sapevate che negli ultimi anni sono aumentati gli italiani che scelgono di visitare i musei, specialmente in gruppo e con la guida di un esperto? Un dato senz’altro positivo, che però rende la vita del visitatore solitario un po’ più difficile. I gruppi di persone che si avvalgono della guida per visitare un museo sono spesso molto affiatati e curiosi e le guide amano soffermarsi a lungo sui dettagli per permettere al pubblico di godere di un’esperienza culturale completa. Lo spiacevole risultato per chi non fa parte del gruppo ma vuole comunque vedere la mostra è il sovraffollamento di fronte ai pezzi principali della collezione. E non dimentichiamoci che quando il gruppo è numeroso, la guida ha bisogno di un microfono per farsi sentire…
Cinquantenni tecnologici
howtogeek.com
Se è vero che i trent’anni sono i nuovi venti e che i quaranta sono i nuovi trenta, per certi versi i cinquanta sono i nuovi quindici. Che cosa significa? Se pensiamo all’appeal che le nuove tecnologie hanno sui nati negli anni Sessanta, è facile ritrovare nel loro entusiasmo di fronte ad uno smartphone o nella complicità con cui si scambiano immagini divertenti su WhatsApp la stessa emozione, ma anche lo stesso fare impacciato, degli adolescenti che per la prima volta escono il sabato sera. Quale conseguenza nell’universo dei viaggi di gruppo? I cinquantenni di oggi, solitamente con figli ormai grandi ed autonomi, hanno sempre più spesso l’idea di organizzare weekend a spasso con i loro coetanei. Da cosa si riconoscono questi ritrovati adolescenti? Senz’altro dalla spensieratezza sui loro volti, dovuta al non essere più costretti a fare vacanze a misura di bambino, ma soprattutto dal tablet con cui immortalano ogni singolo dettaglio del luogo che stanno visitando. Alzi la mano chi di voi non ha mai ricevuto dai propri genitori, zii o colleghi un selfie fatto con l’ipad retto da entrambe le mani, o una fotografia del mare, rigorosamente storta e con un pezzo di dito (non voluto) ad incorniciare il panorama?
Anche quest’estate, come ogni estate, le stagioni teatrali sono già concluse e gli stabili calano il sipario, dando appuntamento al loro pubblico tra qualche mese. Senza fissa dimora, gli spettacoli vagabondano, cercano altri palchi e inseguono i loro potenziali spettatori in piazza, per strada, al bar o al parco; si adattano a nuovi spazi, non proprio a misura d’attore, e a nuovi sguardi, non sempre interessati. Camaleontico, il teatro si trasforma, assume forme diverse, si avvicina all’intrattenimento e conserva i testi impegnati nel cassetto. Così riesce a intrufolarsi persino in quei paradisi di relax e svago che sono i villaggi turistici, e quella che potrebbe sembrare l’occasione meno adatta diventa una sfida per sperimentarsi con un pubblico diverso dagli “abbonati”. L’animatore deve far ridere, lo spettacolo deve piacere; se i tempi per le prove sono stretti, i costumi non calzano a pennello e il compagno sbaglia la battuta, the show must go on. Non sono luoghi comuni, ma conferme che ci arrivano dalla chiacchierata con Elisa Cattaneo. Classe 1991, laureata in Beni culturali, Elisa continua la sua formazione teatrale, tra scuole e workshop, ed è tra le fondatrici della compagnia MITO, specializzata in musical.
«Ho iniziato a fare l’animatrice turistica nel 2008, quasi per scherzo. Ero in vacanza in un villaggio in Sardegna e la coreografa se ne andò perché sfinita dalla stagione; il direttore e il gruppo di animazione mi conoscevano da due anni e mi hanno chiesto di sostituirla. È stato il mio battesimo, un po’ inaspettato, ma se non avessi iniziato così non avrei mai iniziato. Ogni anno mi dico: “Non parto più”, “Sono stufa”, “Chi me lo fa fare?”, e poi parto comunque. Non è facile, ogni anno devi metterci del tuo, nella convinzione che sia un’occasione per crescere». In effetti la giornata-tipo dell’animatore non dà tregua, soprattutto se, come Elisa, sei coordinatore di gruppo. Al sesto anno di esperienza, Elisa è responsabile delle attività fitness diurne e delle coreografie serali, che impegnano dalle 8.30 a mezzanotte non-stop, perché «tra un’attività e l’altra fai “contatto”, ossia non ti fai gli affari tuoi – spiega Elisa – ma cerchi di farti conoscere e di conoscere le esigenze degli “ospiti”, come li chiamiamo noi». L’ora del sonno per gli “ospiti” è per gli animatori ora di riunioni, programmazione e soprattutto tempo di prove.
Questa è una delle prime, sostanziali differenze rispetto agli spettacoli proposti nei teatri: «Il 99% delle volte sali sul palco non sapendo cosa potrebbe succedere. È tutta improvvisazione: hai un canovaccio, sai cosa succede in quella scena e si improvvisa; a forza di ripeterla si definisce una specie di copione. Se ci sono copioni, vengono seguiti poco anche per un problema pratico: non c’è tempo di studiarli. Io ho sempre odiato questa cosa – confessa Elisa, abituata a tempi di prova più distesi, tra le pareti delle sale teatrali – ma impari».
Nella logica del villaggio, però, poco importa se c’è un vuoto di memoria o qualche errore, l’importante è fidelizzare i clienti e soddisfare le loro esigenze. Individuato il target, si programma il “cartellone” delle attività: liscio e burraco per la comitiva di anziani, baby dance e spettacoli più semplici per le famiglie con bambini. Anche per questo negli show serali «si propone quasi sempre il cabaret, con 6-7 sketch in scaletta per un totale di un’ora, oppure il musical, con cui puoi arrivare a un’ora e mezza di spettacolo. La maggior parte degli spettacoli nasce dall’unione di tanti pezzi, per alcuni prendiamo ispirazione da altri artisti, per altri ci riuniamo davanti a un foglio bianco per dar sfogo alla creatività».
Senza troppi giri di parole, sintetizziamo con Elisa la proposta teatrale-spettacolare dei villaggi turistici: «È un teatro fatto per il cliente, quindi non un teatro di ricerca, ma per far ridere, per piacere e attirare gente; per farla rilassare, svagare, per farle vedere qualcosa di nuovo e comunque di ben fatto, perciò si punta molto su costumi e scenografie, anche perché spesso gli attori, se non vengono da grosse agenzie di animazione, non sono professionisti».
Non si tratta di teatro sperimentale: per spettacoli innovativi nel linguaggio e provocatori nei contenuti c’è un anno intero; in vacanza, allora, ci vogliono spettacoli che colpiscono per leggerezza, comicità, freschezza. Questo non significa che la sperimentazione sia esclusa, che tutto sia preconfezionato e riproposto identico a se stesso.
«Si azzarda qualche sperimentazione sempre tenendo conto di esigenze pratiche, prima di tutto quelle degli ospiti; si può giocare con dei cambi di battute negli sketch comici, si può pensare di proporre un musical più impegnativo, senza happy end, come mi è capitato con un Romeo e Giulietta e Nôtre-Dame de Paris – ricorda con piacere Elisa – È un rischio che ti prendi se sei in un buon gruppo di animazione, ben affiatato. Sperimentare qui significa anche adattarsi a costumi un po’ arrangiati: non puoi avere troppe pretese, non tutte le agenzie hanno soldi da investire in abiti per il musical di una stagione che ritornano con i buchi!». Il valore di un’esperienza di lavoro estenuante come quello dell’animatore turistico si misura nella pratica, cogliendo gli spunti di riflessione nei momenti in cui si devono affrontare (e in fretta) problemi e novità. «Questa è una buona scuola per imparare a improvvisare e ad arrangiarsi con quello che si ha a disposizione. Se per un musical sei abituato a scenografie importanti, impari a farti bastare un fondale; così per la costumeria, l’oggettistica e anche per le persone. Se si è in pochi, tutti fanno tutto, dal tecnico all’attore al presentatore, il che è un fattore positivo».
Salire su un palco e lanciarsi, anche dopo poche prove; improvvisare e seguire i compagni, “sentire” il pubblico e “aggiustare il tiro”: tutte esperienze che richiedono sensibilità e prontezza, con cui non sempre ci si misura nelle scuole o nelle Accademia. Al tempo stesso, però, secondo Elisa sarebbe ingenuo pensare di formarsi, come attore e teatrante, solo con i periodi di lavoro nei villaggi turistici: «Sicuramente da una stagione di animazione non esce il nuovo Gassman. Fatte più stagioni, tanti si sono iscritti a scuole di musical proprio perché l’animazione in sé non basta. Io ho seguito i tre anni al Teatro Prova di Bergamo, ad esempio, e ci sono anche altri corsi, scuole, accademie… ma è importante avere un’impostazione di base per emergere».
Hop off the bus, take pictures, hop back on the bus, sleep in a hotel – repeat. That’s how millions of Chinese tourists spend their holidays every year. We’re all aware of the (quite accurate, in fact) stereotype of Chinese groups getting off a bus, cameras in their hands as they visit famous tourist destinations across Europe ready to shoot. However, this cliché may be about to end.
I discussed the current situation and future tendencies of the Chinese tourism market with Chao Nan Zhang, Operations Manager for the Chinese area at Ignas Tour Spa, a tour operator based in the Italian Trentino Alto-Adige region that specialises in incoming fluxes of travel to Europe.
Chao Nan explains that, although big group tours of 30/40 people are still the Chinese favourite way of travelling around Europe, mass tourism is in decline. “About ten years ago, when outbound tourism started flourishing in China, average Chinese people still had little to no knowledge of the English language and European culture, so mass group tours were basically their only option. Nowadays, tourists from the Middle Kingdom, who are often at their second European travelling experience, are not satisfied with the standard Central Europe mass group tour and they often opt for more customised solutions.” Asked about these new trends, Chao Nan says that single group travels are more and more popular among Chinese tourists. “Single group are smaller groups of travellers that usually request upper-level customised tours catering to their specific needs. For example, we once arranged a football-themed tour in Spain for a group of Chinese football fans. They visited all the major stadiums and even attended Barcelona’s team practice, where they could meet their idol Lionel Messi – and take a picture with him of course.”
The Economist/Rex Features
Talking of the most popular European destinations, France, Italy and Switzerland still attract a large share of Chinese tourists, even if in 2016 they suffered a steep decline in visitors, partly due to the introduction of new visa requirements for the Schengen area at the end of 2015. Conversely, this year Chao Nan saw a boom of requests for tours to the UK, which is not part of the Schengen agreement, probably thanks to the extension of standard visitor visas and to a simplified application process. Moreover, as Chinese people become more knowledgeable about European countries and the cultural differences among them, more and more tourists are attracted to less renowned areas, such as Eastern Europe or the Balkans.
Chao Nan has no doubts concerning the future of the market: “Even if group tours still account for the majority of incoming Chinese tourism revenues, the future tendency is clear: in the coming years, the segment of FIT (free independent travelling) will become more and more important for the incoming tourism industry.”
tourism-review.com
Chao Nan’s opinion is supported by recent data. The trend for independent travel is sharply on the rise, especially among the younger Chinese, who are open-minded, well educated and more adventurous than their elders. They are also hugely dependent on online search and are used to booking hotels, flights and attraction tickets via online travel sites.
So, what does this mean for the market? Are tour operators and tourist agencies doomed? Not necessarily. “Mass group tours are low-cost solutions, where price plays a big role and competition is fierce. As a result, margins in this segment are wafer-thin. Catering to FIT can be more profitable, although it entails much more effort”. Agencies and tour operators should therefore focus on providing customers with unique experiences that cannot so easily be booked online.
“We at Ignas Tour are already working on this by offering special packages of a single day or even of just a few hours that cater specifically to FIT. For example, young internet-savvy Chinese tourists may book a hotel room in Venice online, but they would like someone to guide them through the narrow and maze-like Venetian calli and to show them the best attractions the city has to offer. That’s why we propose short Chinese guide tours in Venice and in other main tourist destinations in Europe. Besides cities guided tours, we also arrange visits to Italian wineries, where tourists can learn about wine production and have a wine-tasting experience, or to pizzerie in Naples, where they can even make (and eat!) their own pizza under the supervision of pizza chefs.”
Chinese tourists may be getting tired of the jam-packed mass group tour experience and look for more unique and personal experiences, but there is one thing that won’t change: “They’ll never stop taking billions of pictures to show to their friends and families at home” says Chao Nan with a little laugh. After all, old habits die hard.
Oggi siamo tutti turisti. Forti dell’appartenenza a questo mondo aperto e globalizzato, leggermente scalfiti dalle minacce che il suddetto mondo sottintende, mentre ci sottoponiamo scalzi e volenterosi ai ligi controlli di sicurezza, dosando il bagnoschiuma in microscopiche bottigliette da bambola e valutando la grammatura del bagaglio con la precisione di un narcotrafficante, giriamo per il globo neanche fosse il nostro tinello.
La mia nonna materna era una solida contadina bergamasca: per spostarsi disponeva unicamente di un carretto in legno malfermo trainato da una cavalla raggrinzita e stanca, trattato con la cura che si riserva ad una santa reliquia poiché necessario al quotidiano lavoro nei campi. Quando, nel dopoguerra, le mie zie allora bambine si ammalarono di difterite, impiegò quasi quattro ore per percorrere i quindici chilometri che la separavano dall’ospedale (la stessa strada, adesso, è tranquillamente percorribile in automobile in circa quindici minuti). I ritmi della terra e della miseria rendevano impossibile qualsiasi viaggio.
Questa è la ragione per cui la mia nonna materna non ha mai visto il mare mentre io, senza infamia e senza gloria, ho appena prenotato un aereo che mi porterà, in poco più di tredici ore, proprio sotto l’Himalaya e mi destreggio, senza difficoltà, dentro questa umanità che si sposta come un proiettile da una parte all’altra della Terra.
Anche il turismo “di massa” ha il suo santo patrono e la sua data sul calendario: Thomas Cook, modesto pastore battista; 5 luglio 1841. Costui infatti organizzò l’ “Escursione di Thomas Cook da Leicester a Loughborough e ritorno”, una passeggiata di appena 11 miglia dentro scomodi vagoni scoperti, che però permetteva ai modesti operai dell’industria laniera del tempo di godersi “viaggio, pranzo e spettacolo di gran galà” al modico prezzo di uno scellino.
Thomas Cook
Fu una rivoluzione: si passò dal Grand Tour classico, ovvero quel lunghissimo viaggio di formazione tra Asia ed Europa riservato ai più avventurosi, giovani aristocratici europei, al “pacchetto” turistico economico e completo.
Se ci pensate bene, dentro l’”Escursione di Thomas Cook” c’era già tutto il moderno baraccone sotteso alla vacanza organizzata: l’”agente di viaggio”, ovvero il demiurgo del tour, in grado di pianificare e rendere accessibile a tutti, sulla base dell’ovvia disponibilità economica; la scoperta del luogo da parte del turista; il piacere calcolato dell’evasione dalla routine e il conseguente status sociale; la possibilità, rassicurante, di affrontare “il nuovo” senza ansie di sorta.
La vacanza, quindi, è diventata un bene di consumo, messa diligentemente a bilancio familiare e i commercianti sanno perfettamente come rendere “edibile” il loro prodotto, riuscendo incredibilmente a modificare addirittura la natura intima delle mete stesse. Ecco quindi “il villaggio”, una realtà mediata e posticcia che dà modo anche agli individui meno avventurosi di calarsi in realtà diverse, aggiungendo al tranquillo stile di vita occidentale qualche falsificazione esotica messa ad hoc per solleticare il palato. Seriamente, a quanti mariti di famiglia, il tuareg perfettamente abbigliato a capo dell’escursione su dromedario organizzata dal villaggio Club Med, ha proposto uno scambio tra la moglie e una manciata di camelidi? Quanti mariti di famiglia hanno sinceramente pensato di mollare la consorte in mezzo al deserto, senza rendersi conto di essere soltanto gli ignari personaggi di una recita rodata, montata ad arte per aumentare l’esotismo del luogo? Quanti si sono resi conto di essere stati fregati, irrisi e derisi, dal momento che la sostanza del loro viaggio è passata dalla “scoperta dell’altrove” all’ennesima esperienza mediata da denaro e tecnologia, una vera e propria mistificazione turistica?
Oggi, Thomas Cook è passato dai “charity trips” ad essere un’agenzia di viaggi globale, una company illimitata in grado di organizzare viaggi all inclusive per qualsiasi meta e qualsiasi portafogli, in grado di adeguare il proprio prodotto agli standard collettivi e alle possibilità individuali.
Secondo una statistica condotta dalla Thomas Cook nel 2015, il 25% degli intervistati esprime la volontà di trascorrere vacanze differenti, meno mediate e più immerse nella cultura del luogo. Da qui nacque il gemellaggio storico tra TC e Airbnb India, il matrimonio consensuale tra la borghesia e il proletariato delle vacanze.
Airbnb è un portale che mette in contatto coloro che cercano un alloggio per brevi periodi con chi ha spazio extra da affittare. È possibile prenotare una camera, una villetta, un’isola, un igloo oppure una casa su un albero in oltre 26000 città in 192 paesi.
Airbnb è stato fondato da Brian Chesky, Joe Gebbia e Nathan Blecharczyk che, nel 2007, non riuscendo a far fronte alle spese del proprio canone, decisero di affittare parte della loro casa ai viaggiatori arrivati a San Francisco per la conferenza annuale dell’Industrial Design Society of America.
Esattamente come per Thomas Cook, sembrerebbe che gli imperi nascano da intuizioni banali: attualmente Airbnb è una società valutata oltre un miliardo di dollari, riuscendo ad attirare coloro che, per ragioni etiche o economiche, preferiscono essere “host”, piuttosto che turisti.
Questo nuovo modo “social” di intendere il viaggio, che crea connessioni virtuali e personali tra ospiti ed anfitrioni, entrambi protagonisti ai danni del tour operator, tuttavia nasconde delle insidie. Nella sola città di Milano, per esempio, nell’anno di Expo, a fronte di 12.841 inserzioni, soltanto 505 (poco meno del 4%) sono state iscritte al registro del Comune, lasciando le altre nel vuoto normativo. Affittare una stanza, oppure l’intera abitazione senza pagare alcuna tassa, può portare ad un introito netto annuale di circa 15mila euro e diventare la principale fonte di reddito familiare. Sempre a Milano, alcuni inquilini sono stati denunciati perché sorpresi a locare su Airbnb alloggi popolari a canone calmierato.
Brian Chesky, tra i fondatori di Airbnb
Gli albergatori, ovviamente, hanno issato vessilli di guerra: Federalberghi stima a 73,8 milioni le presenze in Italia riferite all’anno 2014 in alloggi non registrati, con guadagni di circa 2,4 miliardi di euro e un’evasione fiscale superiore ai 110 milioni, senza contare i 57 milioni di tasse di soggiorno non versate; anche se, al momento della registrazione sul portale, AirBnb ti avverte che l’unico responsabile della gestione delle tue tasse e dei tuoi obblighi fiscali, sei tu.
A Berlino, invece, i legislatori hanno stretto i controlli, imponendo unicamente l’affitto di singole stanze, anziché di intere case tramite la piattaforma. Chi vorrà affittare l’intera abitazione dovrà munirsi di licenza e diventare un b&b a tutti gli effetti, con conseguente comunicazione degli elenchi degli ospiti alle autorità competenti. Tutto ciò è stato pensato per riassestare la folle situazione immobiliare berlinese, frenando gli speculatori: tra il 2009 e il 2014 gli affitti della capitale tedesca sono cresciuti del 56% rispetto alle altre capitali europee.
Insomma, villaggio turistico o Airbnb? Cocktail sulla spiaggia o colazione preparata dentro la caffettiera di un altro? Trolley o zaino in spalla? Qualunque sia il vostro modo di viaggiare, qualunque siano i vostri pensieri mentre pigiate i vestiti nella valigia, sappiate che avete pagato per vedere altro e tornare diversi, proprio come gli operai che partirono con Thomas Cook oltre un secolo fa.